domenica 30 luglio 2017

Fincantieri, tutti i perché della macronata di Macron sui cantieri di Saint Nazaire in Formiche 30 luglio



Fincantieri, tutti i perché della macronata di Macron sui cantieri di Saint Nazaire
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Fincantieri, tutti i perché della macronata di Macron sui cantieri di Saint Nazaire
L'analisi dell'economista Giuseppe Pennisi
In un pamphlet del 1852, Victor Hugo chiamò il Presidente Loui-Napoléon Bonaparte divenuto Imperatore Napoleone III Napoléon Le Petit non per la sua statura ma per la capacità di prevedere gli esiti delle sue proprie decisioni ed azioni. Alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, Sofia Ventura dell’Università di Bologna (probabilmente oggi la maggiore politologa italiana esperta di politica francese) sottolineò più o meno la stessa cosa (in un seminario all’Istituto Affari Internazionali) affermando che Emmanuel Macron (in foto) è simile a Matteo Renzi in termini di narcisismo e di difficoltà a vedere lontano.
Non voglio entrare nell’ ‘affaire’ della Libia, ma credo sia il caso di commentare la vicenda della nazionalizzazione dei cantieri di Saint-Nazaire per poi cercare di fare un contratto leonino con la Fincantieri o con chi altro voglia entrare nel gioco. Dopo aver sentito due giuristi italiani specializzati in diritto internazionale, e parlato con il mio compagno di studi ed avvocato societario specializzato in temi e problemi internazionali Michel Prouzet, è chiaro che in punta di diritto la posizione francese è ineccepibile. Il preliminare del contratto dava tempo sino al 29 luglio al governo francese per esercitare il diritto di prelazione. E Macron e il suo governo hanno atteso proprio l’ultimo momento per farlo (dopo aver tentato di giungere ad una ‘mezzadria’ per le proprietà e la gestione della joint venture).
La mezzadria sarebbe costata meno all’erario di Parigi; i conti pubblici francesi sono appena usciti da una procedura d’infrazione dell’Unione europea e stanno per entrarne in un’altra. Infatti, Macron ed i suoi si sono precipitati a precisare che si tratterà di una ‘nazionalizzazione’ di breve durate e che sarebbero lieti di rivendere parte dell’azienda nazionalizzata alla stessa Fincantieri.
In effetti, i cantieri Saint Nazaire non sono un grande affare, come ben sanno gli azionisti coreani. Il conglomerato Stx (che ne aveva acquistato il 66% ) era fallito, l’anno scorso, e il tribunale di Seul aveva messo in vendita la sua filiale francese (Stx France, i cantieri di Saint-Nazaire, proprio a Parigi, si era subito pensato che poteva essere l’occasione per ridisegnare lo scenario della cantieristica in chiave davvero europea. Si sperava che, a farsi avanti, fosse un gruppo industriale e non un fondo d’investimento qualsiasi. E poi, attivo nel settore e meglio se pubblico. Detto, fatto: alla fine in lizza era rimasta solo Fincantieri, che rispettava tutte queste condizioni. La trattativa riguardava le navi da crociera, fabbricate a Saint-Nazaire, ma sullo sfondo si profilava anche la cantieristica militare, quella di Naval Group, colosso pubblico francese. Occorre precisare, che grazie agli ordinativi di questi ultimi anni, la costruzione di navi da crociera va molto bene e le prospettive sono che avrà margini operativi lordi interessanti almeno per i prossimi dieci anni.
Ma non sono le navi da crociera, nelle mani dei cantieri, ad interessare Macron, ma quello delle navi militari i cui centri di progettazione e di selezione sono al ministero della Difesa. La mossa del cavallo fatta da Macron, inoltre, punta ad acquisire crediti nei confronti dei lavoratori prima del varo della nuova Loi du Travail, togliendo ai sindacati una carta e mostrandosi come un difensore dell’occupazione.
Sono due obiettivi di breve periodo e che contribuiscono a frammentare, non ad unificare, l’Europa. Dopo lo sgarbo fatto a Fincantieri e all’Italia sarà difficile trovare, quando Macron vorrà ‘denazionalizzare’ Saint-Nazaire acquirenti potenziali a versare il contante di cui i cantieri hanno bisogno, pur mantenendo Napoléon Le Petit sul ponte di comando. Per quanto riguarda la parte occupazionale, i lavoratori di Saint-Nazaire avevano avuto ampie garanzie da Fincantieri e comunque non sono così numerosi da incidere sulle posizioni nazionali dei sindacati.
Doppio errore di miopia. Lo dicono già a Berlino dove Napoléon Le Petit viene ormai considerato inaffidabile.

La mossa del Pd dietro l'allarme di Roma in Il Sussidiario 31 luglio



SICCITÀ/ La mossa del Pd dietro l'allarme di Roma
Prosegue l’allarme siccità in Italia e a Roma non è del tutto scongiurato il rischio di razionare l’acqua. Per GIUSEPPE PENNISI il Pd cerca così di mettere in crisi M5s
31 luglio 2017 Giuseppe Pennisi
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SICCITA' A ROMA. Chiare, fresche et dolci acque scriveva Petrarca. Le acque di Roma sono “fresche”, ma non sono né “chiare”, né “dolci”. Sono nato a Roma nel 1942 e già allora il Tevere veniva aggettivato “biondo” a ragione delle sue acque melmose e giallognole. Nelle soirées di beneficenza organizzate da quel-che-restava-dell’aristocrazia papalina o savoiarda (in quanto insigniti da Casa Savoia) veniva chiamato “Tevere blu” a ragione del colore del sangue che gli organizzatori pensavano scorresse nelle loro vene.
Roma ha rischiato di essere considerata, all’interno della madre Patria e all’estero, come un piccolo Sahel (la zona desertica dell’Africa sub-sahariana) con acqua razionata e file di cittadini con bidoni per approvvigionarsi ai punti di distribuzione. Prima che iniziassi a scrivere questo articolo è giunto un dispaccio Ansa: “C’è l’accordo che evita razionamenti dell’acqua a Roma. ‘Mi è stato comunicato pochi minuti fa dal presidente della Regione Lazio che a breve dovrebbe esserci un provvedimento modificativo della sospensione della fornitura di acqua dal lago di Bracciano verso Roma’. Lo ha detto il presidente di Acea, Luca Alfredo Lanzalone, durante una conference call, aggiungendo che il provvedimento ‘ragionevolmente dovrebbe scongiurare la necessità di turnazione dell’acqua’”.
Per il momento, quindi, la prospettiva di Roma saheliana è stata evitata. Tuttavia, per il medio termine le previsioni non sono ottimistiche. È sempre in campo l’ipotesi della turnazione che coinvolgerebbe un milione e mezzo di romani articolata in otto ore di stop alternato in tre fasce orarie per aree. Quindi, Roma Capitale, con velleità olimpioniche, resta sempre vicina al Sahel.
In questa vicenda, scoppiata quasi all’improvviso nel mezzo di una lunga estate calda, i protagonisti sono essenzialmente due: da un lato, la Regione Lazio (che ha vaste competenza in materia ambientale in base alla revisione del Titolo V della Costituzione) e un gruppo di comuni che insistono sul lago di Bracciano e, dall’altro, il Comune di Roma Capitale. L’Acea - la multi-utility che si occupa anche dell’acqua - è un ente strumentale che opera unicamente nell’ambito delle direttive a lei impartite (e delle risorse a lei attribuite), è una SpA con partecipazione di capitali privati internazionali. Ha, però, il know-how tecnico necessario per fare funzionare il sistema.
È proprio Acea ad affermare che “la drastica riduzione dell’afflusso di acqua alla rete idrica ci costringerà a mettere in atto una rigida turnazione nella fornitura che riguarderà circa 1.500.000 romani”. Sempre Acea ha spiegato così la stima di coloro che potrebbero essere raggiunti dal provvedimento nei prossimi giorni: l’acqua captata dal lago di Bracciano, circa l’8% del totale, serve a coprire il fabbisogno di circa 400mila persone che, in sua assenza, resterebbero a secco per 24 ore. Per evitarlo, ecco l’idea di ridurre i disagi “spalmandoli”. Se il razionamento per ora è ancora uno spettro (che sia il governo, sia il Comune vorrebbe scongiurare), di certo e realmente “in progress” c’è il piano di chiusura temporanea delle fontanelle pubbliche della città elaborato dalla società come una delle misure per far fronte alla crisi idrica.
Professionalmente non tratto problemi idrici da quando lavoravo in Banca Mondiale e da quando al ministero del Bilancio e della Programmazione economica dirigevo il nucleo di valutazione degli investimenti pubblici. Tuttavia, a me sembra che la diatriba di questi giorni abbia un forte calore e colore politico tra una Regione amministrata dal Pd e un grande Comune guidato dal M5S, di cui il Pd vuole evidenziare le pecche, anche perché i sondaggi per le ormai prossime elezioni politiche danno M5S davanti al Pd.
Difficile altrimenti capire perché il problema sia scoppiato adesso. Già negli anni Ottanta uno studio, portato all’attenzione di quello che era il Cipe, evidenziava che gli acquedotti romani erano un colabrodo con perdite enormi, e sottolineava che era essenziale un piano di manutenzione straordinaria finanziato dallo Stato. Da circa cinquanta anni poi Roma è stata quasi sempre governata proprio dai partiti in gran misura confluiti nel Pd. È stato mai proposto un piano di manutenzione straordinaria? Chi ha portato Roma Capitale nel Sahel?
C’è il rischio di un boomerang sulla Regione e su chi la governa.
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sabato 29 luglio 2017

La "Tosca fascista" torna alle Terme di Caracalla in IL Sussidiario 30 luglio



OPERA/ La "Tosca fascista" torna alle Terme di Caracalla
Dopo alcuni anni di assenza dalle Terme Tosca è tornata nel grande teatro all’aperto nelle rovine imperiali di Roma. Grande successo, ce ne parla GIUSEPPE PENNISI
30 luglio 2017 Giuseppe Pennisi
Terme di Caracalla, Tosca, foto di Yasuko KageyamaTerme di Caracalla, Tosca, foto di Yasuko Kageyama
Tosca’ è opera ‘romana’ per eccellenza. Non solo si volge in tre luoghi topici di Roma (la Chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo) nei giorni della battaglia di Marengo (14-15 giugno 1800). E’ opera ‘romana’ anche in quando debuttò nella Capitale il 14 gennaio 1900, e con essa nacque il ‘dramma in musica’ italiano del Novecento  proponendo un libretto serrato (di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica) ed una originalissima scrittura orchestrale. Ogni anno al Teatro dell’Opera si propongo alcune recite ‘fuori abbonamento’ con scene e costumi modellati sugli originali del gennaio 1900. E’ anche spesso presente nella stagione estiva alle Terme di Caracalla, dove a 12 anni vidi ed ascoltai  Tosca per la prima volta in una sera in cui serata con Renata Tebaldi e Mario del Monaco nei ruoli principali.
Dopo alcuni anni di assenza dalle Terme Tosca è tornata nel grande teatro all’aperto nelle rovine imperiali di Roma. Non è una nuova produzione ma una ripresa di un’edizione di quattro anni fa. Ho assistito alla quarta replica (ne sono previste otto sino all’8 agosto). Teatro gremitissimo in ogni ordine di posti.
Interessate, come scrissi quattro anni fa la regia. Dopo avere trasportato alla fine degli Anni Trenta, Cavalleria Rusticana ed Il Gattopardo, Pier Luigi Pizzi porta nello stesso periodo anche Tosca. Ciò presenta alcuni problemi. In primo luogo, Sardou (ed ancor meglio di lui Giacosa ed Illica che ne hanno ridotto il dramma da cinque a tre atti, eliminando episodi e personaggi secondari) pongono una datazione precisa per le 18 ore in cui si svolge l’intreccio: il 16 giugno 1800, quando la mattina giunse a Roma la notizia che a Marengo la ‘coalizione’ guidata dall’Austria, aveva sconfitto l’armata di Napoleone, si approntarono festeggiamenti, ma verso le 22 si apprese che il Bonaparte aveva disfatto gli avversari e si apprestava a conquistare il resto d’Italia. Se Floria Tosca avesse avuto uno smart-phone, l’equivoco non ci sarebbe stato e Scarpia si sarebbe tolto l’orbace e il vestito un doppio petto, sarebbe stato alle prese con bruciare carte e darsi alla fuga piuttosto che tentare un’ultima conquista violenta. 
In secondo luogo, già Jonathan Miller, Peter Sellars e Robert Carsen hanno ambientato Tosca in epoca fascista (quindi, non si tratta di una novità) ma hanno scelto gli ‘anni dello squadrismo’, quelli del ‘delitto Matteotti’, mentre i costumi, soprattutto femminili dello spettacolo di Pizzi, fanno intendere che l’azione si svolge è nel 1935-37, quelli chiamati da De Felice, da Parlato e da tutta una scuola di storici ‘gli anni del consenso’ quando l’Italietta pensava di essere diventata un Impero. Allora, non si torturava ma si cercava di accattivare anche intellettuali ‘dissidenti’, si creava la biennale di musica contemporanea a Venezia (invitando numerosi musicisti esiliati dalla Germania) e al Teatro dell’Opera si rappresentava Wozzeck di Alban Berg, proprio per irritare il dicastero della cultura di Berlino. Scelta errata, nonostante l’elegante struttura scenica ed i bellissimi costumi. Il pubblico, però, non è composto di storici. E soprattutto a differenza della Turandot vista a Macerata, e recensita il 16 luglio su questa testata), questa Tosca è fedele al libretto ed alla musica.
Per la parte musicate, essenziale notare un netto miglioramento della concertazione rispetto a quattro anni fa (quando Renata Palumbo era sul podio). Questa volta, con la bacchetta Donato Renzetti, l’orchestra ha dato il meglio di sé e dimostrato di essere una vera ‘Signora Orchestra’ rispetto a quelle di Macerata e di Torre del Lago. Non ha scansato nessuna delle difficoltà della ardua partitura pucciniana, dando colore e calore a questa stupenda orchestrazione, al sinfonismo continuo anche quando sul palcoscenico vengono cantati ‘pezzi’ che possono sembrare ‘chiusi’. L’orchestra dimostra che Tosca è la  partitura più wagneriana di Puccini con l’uso di leit-motifs non solo in riferimento a persone, oggetti, situazioni ma anche per comunicare al pubblico informazioni su sentimenti e pensieri non espressi apertamente.
Eccellenti i tre protagonisti: Tatiana Serjan è una Floria Tosca vibrante anche nei ‘pianissimi’ di Vissi d’Arte e grande attrice nel terzo atto quando insegna a Cavaradossi come recitare sino alla struggente scoperta della verità. Giorgio Berrugi è un giovane tenore generoso che, partendo dal bel canto donizettiano, affronta con scaltrezza i ruoli pucciniani. Roberto Frontali è un veterano nel ruolo di Scarpia.
Applausi a scena aperta dopo Recondita Armonia, Vissi d’Arte ed E Lucean le Stelle,
Grande successo al termine della rappresentazione.

Con l’atteso via libera al ddl Concorrenza avremo almeno uno scudo 'anti-scorrerie' e una spinta al Pil dallo 0,5 all’1,5% l’anno in Avvenre 29 luglio



Con l’atteso via libera al ddl Concorrenza avremo almeno uno scudo 'anti-scorrerie' e una spinta al Pil dallo 0,5 all’1,5% l’anno
Presentata nella primavera 2015, la prima legge 'annuale' sulla concorrenza sta per arrivare in porto dopo quattro letture da parte di Camera e Senato. Giovedì il testo è stato approvato dalla Commissione Industria del Senato. La discussione in Aula è calendarizzata per martedì primo agosto e il voto sugli emendamenti è previsto il giorno successivo. Se non ci saranno ulteriori cambiamenti, l’iter sarà finito e il provvedimento andrà finalmente alla firma del Presidente della Repubblica e alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale .
È uno dei provvedimenti più importanti di questa legislatura, per questo c’è da rammaricarsi che l’iter sia stato così lungo. Anche se il testo iniziale del provvedimento è stato molto annacquato durante il percorso, esso comporta riforme importanti che non costano all’Erario ma comportano la perdita di posizioni di rilievo (spesso vere e proprie rendite) in alcuni comparti. Contiene anche la norma 'antiscorrerie' che tanto ci avrebbe fatto comodo negli anni passati per evitare la colonizzazione delle nostre imprese da parte di quelle straniere, che, molto spesso, avevano parlavano e parlano francese.
La norma è mirata a semplificare le procedure ed aumentare la concorrenza in un vasto numeri di settori: assicurazioni, fondi pensione, comunicazioni, poste, energia, ambiente, banche, avvocati, ingegneri, odontoiatri, farmacie, turismo e trasposti. I gran parte dei casi, le nuove regole comportano maggiore trasparenza e maggiore competitività tra i soggetti coinvolti.
In breve nel campo delle assicurazioni, la nuova normativa orme ha l’obiettivo di promuovere la concorrenza attraverso tre direttrici: contrastare le frodi, limitando così i fenomeni di selezione avversa soprattutto nelle aree del Paese a più elevata sinistrosità; ridurre i costi e garantire certezza sull’entità dei risarcimenti, anche per conseguire uniformità sui livelli dei risarcimenti sull’intero territorio nazionale; promuovere la trasparenza e favorire la mobilità della clientela.
In materia di fondi pensioni la legge facilita l’anticipo delle prestazioni di previdenza complementare . In materia di comunicazioni, la legge rende più trasparente e più semplice cambiare gestori. In materia di poste e di energia lo scopo specifico è liberalizzare i mercati. In materia di ambiente, si insiste sulla trasparenza delle sovvenzioni, contributi e vantaggi economici ricevuti da associazioni consumatori, Onlus, fondazioni. Molto vasto il capitolo sulle banche diretto a rendere più trasparenti le offerte ai risparmiatori ed il contenimento di costi (specialmente di assistenza telefonica). Nelle professioni forensi, si eliminano vincoli alla concorrenza tra professionisti e si incoraggia l’innovazione tecnologica. Misure analoghe per ingegneri ed odontoiatri, nonché per il turismo ed i trasporti locali. Una vera rivoluzione per le farmacie: si liberalizzano gli orari e consente l’ingresso di società di capitali.
L’obiettivo generale non è tanto una migliore aderenza alla normativa europea quanto un aumento della produttività e quindi della crescita. Le stime variano anche in funzione del varo e dell’applicazione dei numerosi decreti attuativi. Si ipotizzano aumenti del Pil attribuibili alle misure dallo 0,5% all’1,5% l’anno.
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