mercoledì 20 gennaio 2010

VE LO DICO IO: I CIELI DIFFICILI DI ALITALIA Il Velino 20 gennaio

VE LO DICO IO: I CIELI DIFFICILI DI ALITALIA
Giuseppe Pennisi


Nel 2009 gli scali italiani hanno subito una vera e propria frenata : il traffico passeggeri è diminuito del 2,7% , il numero dei voli del 6%. La Lufthansa ha gettato la spugna ed annunciato che chiuderà i voli giornalieri Malpensa- Roma.
Cosa avviene in questo contesto alla nuova Alitalia, nata dopo una lenta, confusa e tardiva privatizzazione di Alitalia, una “delayed privatization” secondo la brillante definizione di un documento della Banca d’Italia . Nei dieci anni precedenti la denazionalizzazione, tenere in vita il vettore “di bandiera” con varie alchimie finanziarie e forti sostegni pubblici è costato ai contribuenti 4 miliardi di euro; a questa cifra occorre aggiungere i 2,3 miliardi di euro per lo scorporo delle attività poste in liquidazione dal Commissario Straordinario da quelle cedute ai nuovi azionisti. Pochi mesi dopo, l’avvio della nuova azienda, un economista particolarmente attento al settore, Andrea Giuricin, preconizzava che prima o poi la “privatizzazione infinita” di Alitalia si sarebbe conclusa con una nuova nazionalizzazione, nel senso la compagnia sarebbe diventata una filiale di AirFrance-Klm, che è, di fatto, controllata dall’azionista pubblico. Dal nostro punto di vista , è indifferente se l’azionista di riferimento sia italiano o straniero – quel che conta è l’efficienza, l’efficacia, la competitività e la qualità del servizio. Non è, però, indifferente se esso sia emanazione di uno Stato (italiano o straniero) e considerazioni non economiche (e non inerenti a efficienza, efficacia, competitività e qualità del servizio) incidano nelle strategie aziendali e nella gestione dell’intrapresa.
La prima “relazione semestrale” del management al Consiglio d’Amministrazione della nuova Alitalia ha fatto pensare che i pronostici di Giuricin fossero corretti ed ha lasciato tutti insoddisfatti. Per l’analisi finanziaria, si rimanda a quella puntuale e dettagliata pubblicata su www.chicago-blog.it ; nessuna voce si è levata a mettere in discussione le cifre ed i calcoli ivi presentati . Occorre, sottolineare che la prima “semestrale” riguardava la fase di avvio: non si può chiedere ad un giovane che comincia a solcare un palcoscenico di essere ingaggiato dall’Old Vic per essere il protagonista dello shakespeariano “Amleto”. Inoltre , la “semestrale” si riferiva al periodo sino al 30 giugno non includeva i mesi tradizionalmente “pingui” : quelli estivi. L’aspetto più preoccupante risultante dal documento è che gli obiettivi posti dallo stesso management per la fase d’avvio non sono stati neanche sfiorati: rispetto agli obiettivi, i ricavi sono stati pari a poco più di un terzo, il prezzo medio effettivo del biglietto a meno del 15%, il “load factor” a meno del 20%. Differenze tra obiettivi e risultati di queste dimensioni e la probabilità di un peggioramento dell’Ebit (margine al lordo di tasse ed interessi) di 240 milioni di euro entro fine 2009 non possono non innervosire alcuni soci dell’impresa e suscitare perplessità sulla capacità del management di portarla all’approdo auspicato.
La svolta si sarebbe dovuta verificare in estate (con l’aumento stagionale del traffico passeggeri). E’ stata un’estate dura per tutte le compagnie aeree, tranne alcune low cost: lo documentano le analisi dell’Aita . Per Alitalia, però, l’estate è stata più dura che per altre aziende di trasporto aereo a ragione dei ritardi dei voli e del pasticciaccio brutto dei bagagli smarriti od inviati verso destinazioni differenti da quelle dei passeggeri; in luglio e soprattutto agosto, questi disservizi hanno riempito le pagine di giornali italiani e stranieri, dando l’impressione che tutte le responsabilità fossero di Alitalia (e non anche delle strutture aeroportuali). Come se ciò non bastasse, ci sono state nuove ondate di scioperi, proprio nei mesi estivi in cui il servizio sarebbe dovuto essere di più alta qualità. In autunno, sondaggi d’opinione stimavano un aumento della disaffezione della clientela (sia passeggeri sia cargo) nei confronti della compagnia.
Sempre in autunno , la stampa riportava il rischio di tensioni, anche gravi, tra i soci. Uno dei quali (AirFrance-Klm) avrebbe fatto sapere “off-the-record” essere in attesa di un miglioramento della congiuntura internazionale (e quindi dei propri conti) per acquistare l’intera azienda e di farla diventare una sua sussidiaria. Dal punto di vista del processo di liberalizzazione della società italiana, tale prospettiva è preoccupante unicamente perché equivarrebbe ad una nuova, almeno parziale, statalizzazione d’Alitalia. Potrebbe, però, portare ad una razionalizzazione del sistema aereo europeo (riducendo e rafforzando i gruppi in grado di affrontare le rotte intercontinentali), accentuando la concorrenza (se le regole del gioco sono stabilite, e monitorate, da un ‘autorità indipendente europea) e rendendo, di fatto, Alitalia il partner per le rotte mediterranee ed orientali di una grande multinazionale dell’aviazione civile.
Come avrebbe dovuto rispondere il management della compagnia alle cifre della prima “relazione semestrale” ed alle voci su tensioni all’interno della compagine azionarie ? Con un nuovo programma che avesse obiettivi tecnici e finanziari realistici e che fosse rivolto ai nodi strutturali: a) l’eterogeneità degli aerei (una delle cause primarie dei ritardi), b) l’integrazione con AirOne (e la situazione effettiva ereditata da AirOne); c) i tempi ed i modi per affermarsi come efficiente ed efficace compagnia nell’aerea europea e mediterranea, prima, ed avviare una rete intercontinentale, poi).
A fine 2009, risposte esaurienti a questi interrogativi non erano ancora giunte. Una serie di barlumi positivi, tuttavia, apparivano ad autunno inoltrato: in settembre, il 78% dei voli è arrivato in orario, grazie, soprattutto, però agli sforzi effettuati per aumentare la puntualità su due tratte specifiche: Roma –Milano e Palermo-Milano; il management stimava che la seconda semestrale 2009 avrebbe segnato un pareggio; il servizio relazioni esterne della compagnia sottolineava la riduzione della conflittualità. Altro segno positivo in dicembre: una serie di accordi code-sharing con Aeroflot ; da tempo, questa sembrava un’alleanza naturale poiché, dopo una drastica riorganizzazione, Aeroflot cercava un partner di qualità per una clientela di qualità (business e prima classe) nelle rotte internazionali . Secondo le ultime dichiarazioni del management, il pareggio è ora previsto per il 2011.
Come valutare questi barlumi? Possono essere i segnali di una svolta e di un miglioramento complessivo unicamente se inseriti in una strategia diretta a rendere la compagnia effettivamente competitiva ed acquisire, quindi, una sempre maggiore quota del mercato internazionale (ora Alitalia ha una quota stimata tra il 4% ed il 2% del mercato mondiale- quindi, un’inezia in un’economia globalizzata). Ciò comporta – è vero –modifiche di contesto (ad esempio, la liberalizzazione dei voli intercontinentali) - che non rientrano nelle competenze dell’azienda, e che il Governo italiano può solo effettuare tramite accordi bilaterali. Altre modifiche di contesto (la privatizzazione degli aeroporti e l’attivazione di un mercato per gli slot) sono nell’ambito dell’azione d’indirizzo politico del Governo e di quella legislativa del Parlamento. Lo è, soprattutto, la semplificazione della regolamentazione e degli enti, autorità e commissioni (tra 8 a 10, a seconda del modo di calcolarli) che vigilano sul settore, spesso in modo contradditorio.
In questo campo, la nuova Alitalia è parsa fruire di privilegi più o meno indiretti, specialmente nelle interpretazioni normative dirette ad aumentare i costi e limitare l’attività delle low cost; alcune misure prese a fine 2009 hanno provocato una reazione molto vivace da parte dei social network come Facebook) e sembrano non essere in linea con la necessità di rafforzare la sicurezza aerea. Tali misure sono fortunatamente rientrate nella prima decade di gennaio 2010.
Quindi, il futuro della compagnia non dipende unicamente da strategie e da gestione aziendale ma anche da politiche pubbliche in cui si tenga conto che nel medio e lungo periodo protezionismi indeboliscono, invece di rafforzare. In armonia con il tema di questo capitolo, un’exist strategy (ossia una strategia per uscire dalla crisi finanziaria ed economica) richiede un miglioramento della competitività e deve scansare protezionismi diretti od indiretti quali quelli adombrati a fine 2009 .

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