FINANZE UE SENTIERI DIVERGENTI
Giuseppe Pennisi
Per L’Ue e soprattutto per l’unione monetaria europea, il 2009 è un anno cruciale. Il primo gennaio è entrata in funzione una nuova squadra (Presidente del Consiglio Europeo, Alto Rappresentante per la Politica Estera, Commissione Europa) che deve affrontare sfide difficili, specialmente per quanto attiene all’unione monetaria. Da un lato, i maggiori centri di previsioni econometriche stimano una ripresa graduale dalla crisi finanziaria ed economica (un tasso di crescita dell’1,2% per l’intera zona e dello 0,8% per l’Italia). Da un altro, incombe la minaccia che le tensioni all’interno dell’Eurogruppo mettano a repentaglio la moneta unica . Un dato è eloquente: rispetto ai parametri del “patto di stabilità” (un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni non superiore al 3% del Pil ed uno stock di debito tendente a non superare il 60% del Pil), l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazione sfiora il 15% in Irlanda, il 12% in Grecia, il 10% in Spagna, l’8% in Francia , il Portogallo al 7% e Italia e Germania attorno al 5% ed il rapporto tra stock di debito e pil è in Grecia 135%, in Italia 118%, il Irlanda 96%, in Portogallo 91%, Francia 88%, in Germania 80% ed in Spagna 74%. In gran misura a ragione degli interventi di salvataggio a favore del settore finanziario (ed in certi casi pure dal manifatturiero), la media ponderata dello stock di debito pubblico dei Paesi dell’area dell’euro in rapporto al pil è l’88% , ossia sfiora il 90%.
Un altro dato dice ancora di più: l’aumento dello crescente spread dei tassi d’interesse a lungo termine e dei credit default swaps tra Paesi dell’area dell’euro più o meno virtuosi. Un’analisi molto raffinata del Levy Economic Institute del Bard College (i Public Policy Brief n. 106 uscito in dicembre a firma di Stephanie A. Kelton e L. Randall Wray) . Tale aumento sta provocando tensioni che rischiano di lacerare il tessuto stesso dell’unione monetaria. Lo conferma un lavoro interno dei servizi della Commissione Europea: tre economisti - Servaas De Roose, Werner Ra-Ger, Sven Lmnagedjik – della Direzione Generale Affari Economici e Finanziari mettono in rilievo come siano in atto shock asimmetrici non solamente sotto il profilo finanziario e monetario (al centro dell’analisi di Stephanie A. Kelton e L. Randall Wray) ma anche sotto quello dell’economia reale a ragione di come prezzi e salari dei differenti Paesi stanno rispondendo alla crisi. Molto esplicitamente, Georges Cavalier, dell’Università di Lione, in un lavoro in corso di pubblicazione, documenta come i piani anti-crisi dei singoli Paesi siano elusivamente nazionali in obiettivi e strumenti: analizza in particolare quello della Francia.
Interessante vedere come ciò riguarda non solo i Paesi dell’area dell’euro in senso stretto ma anche quelli del cosidetto SME II, ossia i Paesi dell’Ue, in gran misura i neocomunitari, che non fanno parte del gruppo della moneta unica ma che intendono, prima o poi, appartenervi. Un’analisi di Lucjant Orlowski , un noto economista polacco che insegna anche negli Usa ed in Germania, sottolinea come Repubblica Ceca, Polonia ed Ungheria siano su sentieri divergenti per quanto attiene ad uno degli aspetti cruciali del percorso: l’allineamento dei tassi d’inflazione alla media (più un punto e mezzo per cento) dei tre Paesi più virtuosi.
Le citazioni potrebbe continuare. In breve, ne risulta un chiaro-scuro a cui alla soddisfazione per i segnali sempre più consistenti di ripresa della produzione (quelli dell’occupazione non si vedranno prima del 2011) si accompagnato preoccupazioni per la tenuta dell’euro di fronte a strategie a volte apertamente divergenti degli Stati dell’unione monetaria. Era noto sin da quando si lavorò al percorso verso la moneta unica che non si sarebbe operato in quella che il Premio Nobel Robert Mundell definiva “un’area valutaria ottimale” (con piena circolazione dei fattori e dei prodotti ed assenza di asimmetrie informative e posizionale). Ma non ci si aspettava che la crisi sarebbe arrivata così presto.
Stepahnie A. Kelton e L. Randall Wray propongoo una ricetta tanto europeista che non la si aspetterebbe dagli Usa : non ci si deve affidare unicamente o principalmente alla disciplina posta dai mercati internazionali (ossia allo spread) ma allo politica con la “P” maiuscola creando un vero e proprio bilancio federale (con risorse molto maggiori di quelle di cui dispongono la Commissione Europea e la Banca centrale europea) ed una “nuova istituzione finanziaria” con lo scopo di aiutare i Paesi dell’area dell’euro in difficoltà un’ampia serie di obiettivi di politica economica durante le fasi di contrazione. Molto più cauti gli economisti della Commissione: insistono su liberalizzazione dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi per andare verso un’area valutaria ottimale. Troppo ardimentosa la prima. Troppo timida la seconda. Le nuove istituzioni europee dovranno trovare una soluzione tra queste due.
Per saperne di più
Cavalier G: "French Interventions in the Financial Crisis" (in corso di pubblicazione)
Kelton K, Randall Wray “Can Euro Survive” The Levy Economics Institute of Bard College, Policy Paper n. 106 2009
DeRoose, S., Ra-Ger W, Landijk S. "Reviewing Adjustment Dynamics in EMU: From Overheating to Overcooling" , European Economy Economic Paper No. 198
Orlowski L. "Monetary Policy Rules for Convergence to the Euro" CASE Network Studies and Analyses No. 358
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