CHI E’ FELICE PRODUCE DI PIU’
Giuseppe Pennisi
Secondo la Costituzione americana, gli Usa sono un’Unione di Stati fondata non sul lavoro ma sul “perseguimento della felicità” (come sanno tutti coloro che anni orsono hanno visto un film di Gabriele Muccino che ebbe molto successo sulle due sponde del’Atlantico). Perseguendo la felicità, gli americani raggiungono un’elevata produttività. Nell’immediato dopo-guerra, il Premio Nobel Vassilly Leontieff (l’inventore delle tavole input-output) spiegò così il proprio “paradosso”, secondo cui gli Usa esportavano, allora, prodotti ad alta intensità di lavoro nonostante fossero un’Unione caratterizzata da un’alta intensità di capitali. Per Leontioeff, i lavoratori americani, perseguendo la felicità, raggiungevano livelli di produttività maggiori di quelli del resto del mondo. Attorno all’inizio del decennio appena trascorso, il Premio Nobel Edward C. Prescott calcolò che, sempre perseguendo la felicità, gli americani lavorano in media il 50% in più degli europei (in termini di numero ore per anno).
Ora che anche in Europa ed in Italia, l’”economia della felicità” è diventata non solamente materia di studio ma anche argomento di dibattito politico, il “paradosso” di Leontieff ed i calcoli di Prescott vengono corroborati da altre analisi.
In primo luogo, non in tutti i Paesi europei si è egualmente vicini alla “felicità” considerata come senso di benessere soggettivo ed individuale. L’Istituto Tedesco di Analisi del Lavoro (IZA) ha appena pubblicato un’analisi quantitativa (il documento per la discussione N. 4538) redatta da esperti di economia del lavoro delle Università di Arthus e della Danimarca del Sud; utilizzando inchieste periodiche dell’Unione Europea, i Paesi in cui ci si considera di essere i meno felici sono proprio quelli irradiati dal sole e in cui, nell’immaginario, dominano i mandolini, le tarantelle ed il flamenco: il “Club Med” (Grecia, Spagna, Portogollo ed Italia). Insomma, il melanconico fado rappresenta meglio di altri ritmi lo stato d’animo dei lavoratori e la loro produttività che si trascina lentamente come Amalia Rodriguez. Lo conferma, del tutto indipendentemente, l’indicatore europeo dei sentimenti a cui sono al lavoro professori dell’Università Cattolica di Lovanio e dell’Università Libera di Bruxelles – come testimonia un saggio in uscita in febbraio nell’Oxford Bullettino of Economics and Statistics. Ove ciò non bastasse, alla Università di Warwick, hanno misurato la produttività dei lavoratori “felici” e di quelli “tristi”in industria; i primi hanno una produttività oraria che supera del 12% quella dei secondi.
Sarebbe banale invitare a lavorare “con gioia”, come fanno alcuni socio-economisti nostrani . Dall’iper-paludata Università di Yale giunge un saggio, pubblicato nel n.1, 2010 del “Yale Journal on Regulation”. Non è possibile farlo – è la conclusione di tre “casi di studio” – se leggi e regole (grandi e piccole) lo impediscono perché non elaborate “con gioia”.Allora? Che il Parlamento si diverta! Per consentire di lavorare con più gioia ed essere più produttivi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento