lunedì 11 gennaio 2010

Ecco perché riformare la scuola è necessario per il decollo del Sud Ffwebmagazine 11 gennaio

Lamentarsi non serve, c'è bisogno di idee e di proposte
Ecco perché riformare la scuola
è necessario per il decollo del Sud
di Giuseppe Pennisi
La riforma della scuola (e dell’Università) sono tra le priorità della strategia del governo per l’anno che si è appena aperto. È tema fondante: sarà anche l’argomento principe del Congresso scientifico annuale dell’Associazione italiana di valutazione (Aiv) in marzo. È anche lo strumento più importante per lo sviluppo del Mezzogiorno.Per un semplice economista non è appropriato entrare in terreni in cui i sociologi e i pedagogisti dispongono di una cassetta degli attrezzi più consona a comprendere perché ci sono tali e tante differenze d’apprendimento in diverse parti dell’Italia. I dati essenziali sono stati pubblicati ampiamente sui giornali: studi quantitativi, peraltro non recentissimi, dell’Ocse e della Banca d’Italia evidenziano come al Sud la dispersione scolastica (ossia i ragazzi che non completano il ciclo) è molto più elevata che al Centro-Nord, e che i quindicenni del Sud “sanno” molto meno di quelli del Centro-Nord in matematica e scienze (le sole materie per cui è possibile un confronto internazionale). Inoltre, i ragazzi dei ceti ad alto reddito del Sud hanno un livello d’apprendimento minore di quelli a basso reddito del Centro-Nord - dato che suggerisce come il fenomeno sia destinato ad acuirsi. Il problema – inoltre – non si cura necessariamente aumentando le risorse finanziarie: un’analisi di Maria Flavia Ambrosiano e Massimo Bordigon (due economisti certamente non collaterali al centro-destra) dimostra che la spesa pubblica pro-capite per istruzione in Calabria è doppia rispetto al livello effettivo in Lombardia. Il “Quaderno Bianco sulla Scuola” – presentato, con una certa fanfara, da Romano Prodi nel settembre 2007, ma presto accantonato – aveva il divario tra Sud e Centro-Nord come tema fondante.Cosa fare? Ci si può strappare i capelli e rotolarsi per terra, lamentando che non c’è modo di uscire da questo circolo vizioso. È un po’ ciò che fanno (econometricamente parlando) Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales (non certo collaterali al governo in carica neanche loro) nel loro ultimo lavoro (Cepr Discussion Paper No. DP6657) in cui si riallacciano ad un beniamino del centro-sinistra, Robert Putman dell’Università di Harvard (il quale ha studiato a lungo le Regioni italiane) e in base a una strumentazione econometrica comparata, concludono che il Sud ha ormai trovato un equilibrio (a un livello basso) e ci vorranno almeno 500 anni per colmare il differenziale, specialmente di conoscenze e di apprendimento.Si possono proporre miglioramenti graduali e progressivi, come fa il ministro imperniandoli sulla formazione degli insegnanti e sulla sperimentazione. Si possono suggerire alternative che possono sembrare radicali, come quella lanciata da Franco Debenetti (sulla base dell’esperienza svedese) della competizione tra scuole tramite un sistema di voucher. È interessante notare come nell’ultimo numero di Economic Affairs Greg Forster pubblichi un saggio comparato (non limitato alla Svezia ma sull’esperienza dei voucher negli Stati degli Usa) in cui conclude come i voucher abbiano migliorato la qualità delle scuole e gli esiti scolastici degli studenti – lo avevo già detto, negli Anni 70, mâitre-à-penser della sinistra (come Jenks, Illich e Delors), che probabilmente a Capalbio e Sabaudia non vengono letti, ma sui cui libri Di Vittorio avrebbe passato nottate.In Italia l’argomento principale contro gli “school voucher” è quello che potrebbero favorire le scuole private (anche e soprattutto nel Sud), la cui qualità sarebbe inferiore a quella delle scuole pubbliche, aggravando il problema e aumentando i costi complessivi (poiché il pubblico ha obblighi specifici). Un’analisi di Giuseppe Bertola, Daniele Checchi e Veruska Oppendisano (per ora pubblicata dall’Istituto federale tedesco d’analisi dei problemi del lavoro – Iza Working Paper No 3222- è da augurarsi che venga diffusa anche in Italia) conferma, in base a tre rassegne empiriche, che gli esiti in istruzione superiore e nel mercato del lavoro sono migliori per coloro che hanno frequentato le scuole pubbliche, rispetto a coloro che hanno frequentato quelle private. È, tuttavia, un’analisi statica: le scuole private verrebbero incoraggiate a migliorare da un meccanismo di voucher (altrimenti perderebbero allievi). Uno studio delle Università di Berkeley e della McMaster University (Nber Working Paper No. W14176) prova che in un’ottica dinamica è ciò che è successo dove in Nord America si sono introdotti i voucher: un miglioramento della qualità (in termini d’apprendimento) del 6-8%. Non abbastanza a colmare il gap tra Sud e Centro-Nord, ma in grado di ridurlo in misura significativa.


11 gennaio 2010

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