lunedì 11 gennaio 2010

Opera / Opfergang, lo struggente “addio alla vita” di Henze, Il Velino 11 gennaio

CLT - Opera / Opfergang, lo struggente “addio alla vita” di Henze


Roma, 11 gen (Velino) - L’Accademia nazionale di Santa Cecilia ha iniziato il 2010 con un concerto che verrà ricordato: l’ultima, per ora, opera di teatro in musica di Hans Werner Henze, “Opfergang”, accostata a “Das Lied von der Erde” di Gustav Mahler (nella seconda parte del concerto), ovvero l’addio alla vita del grande compositore di cui stanno per essere celebrati i 150 anni dalla nascita ed i 50 dalla morte (per l’occasione l’Accademia di Santa Cecilia ne eseguirà l’integrale). Henze vive in Italia da oltre 50 anni (nei pressi di Roma da oltre 40), è il compositore contemporaneo più eseguito e più rappresentato. Di fede marxista (amico di Castro) ma di modi principeschi (ed adorato dalla Thatcher), è la prima volta che un’istituzione italiana gli commissiona un lavoro. Si pensava che avesse dato il suo “addio” nel 2003, a 78 anni, con “L’Upupa” presentata al Festival di Salisburgo, anche perché stato successivamente molto malato e, una volta guarito, ha perso il proprio compagno di vita. Al contrario, dopo essersi ripreso, sta vivendo una nuova giovinezza: “Sebastiam in Traum” nel 2005, “Gogo no eiko” (su testo di Mishima) nel 2006, “Pheadra” nel 2007, “Elegium musicum amatissimi amici nunc remoti” nel 2008 e ora, a 83 anni, “Opfergang” (“Immolazione” nella traduzione italiana nel programma di sala, anche se sarebbe più appropriato intitolare il lavoro “Sacrificio”). A Henze si deve anche “Boulevard solitude” che nell’Italia degli anni ‘50 fece scandalo e provocò al Teatro dell’Opera una vera e propria “battaglia”, tanto da finire alle mani.

In “Opfergang”, in una periferia di una grande città, si incontrano un cane bianco smarrito, ma ben curato, e un fuggiasco. In un monologo, l’uomo racconta il suo inquietante passato (senza però che il pubblico afferri cosa lo turba: un’infanzia difficile? complicati rapporti personali? reati? Braccato dalla polizia e in preda al panico, uccide il cane, che pure - dopo avere lasciato la propria elegante padroncina e la bella dimora - lo aveva seguito mostrandogli affetto, e cade negli abissi dell’alienazione. Il cagnolino bianco gli resta affezionato dopo morto e dopo che il proprio corpo viene utilizzato per sfuggire alla polizia. Tema fondante, il contrasto tra Bene e Male, tra Violenza e Purezza. Immediato il riferimento a “Billy Budd” di Benjamin Britten (anche perché le voci sono esclusivamente maschili e del grand opéra lo stesso Britten compose una versione cameristica). C’è , però, una differenza profonda: in Britten, il Male è Claggart, sadico omosessuale, che porta Billy, il Bene, alla morte perché il ragazzo si oppone a fargli godere il proprio corpo. Mentre Claggart è personaggio spregevole, “il fuggiasco” di Henze ricorda “L’Etranger” di Albert Camus : uccide il cagnolino perché l’esistenza è assurda, come lo è stata la sua stessa vita ed ora la sua fuga. Nei suoi confronti proviamo quasi simpatia.

Al pari di “Phaedra” e di altri lavori di Henze (ad esempio, El Cimarron) “Opfergang” è una “Konzertoper” . Il testo è un poema drammatico dell’inizio del Novecento di Franz Werfel, scrittore espressionista e grande amico di Kafka, nonché ultimo marito di Alma Mahler. Sotto il profilo musicale, Henze mantiene una cornice dodecafonica che viene utilizzata, orizzontalmente e verticalmente per la costruzione di melodie, melismi e accordi, quasi un breve trattato di armonia redatto specialmente per questa composizione. Henze porta ancora una volta la dodecafonia al grande pubblico (come ha fatto per 60 anni) inserendo i temi, a lui consueti, della pietà e dell’accusa sociale in un “visivo musicale” eclettico. Dopo un agitato interludio dominano le battute eteree degli archi, una larga melodia dell’oboe baritono, l’angoscia della tuba wagneriana, gli “a solo” del pianoforte (magnifico Pappano al piano) per accompagnare i recitativi, i vaghi movimenti di danza dell’organetto e un leit-motiv di Fa diesis maggiore e Do maggiore. La concertazione di Antonio Pappano svela, con tenerezza e amore, le meraviglie della partitura. L’orchestra potrebbe essere definita un complesso da camera molto ampliato con il maestro concertatore, come si è detto, anche al pianoforte. Sette voci (il tenore schubertiano Ian Bostridge è il cagnolino, il baritono wagneriano John Tomlinson il fuggiasco, gli altri vengono dal coro di Santa Cecilia) che dal declamato scivolano nell’arioso e anche in duetti. In breve, una “prima mondiale” d’eccezione, pur se ci si deve chiedere se la vasta sala Santa Cecilia con i suoi 2.832 posti sia la più adatta ad un lavoro così intimo.

“Das Lied von der Erde” di Mahler è uno struggente commiato dal mondo in chiave di ritrovata serenità Zen, opera di cui poco prima di morire il grande direttore d’orchestra Jascha Horenstein disse “una delle cose più tristi di lasciare il mondo è il non potere più ascoltare”. Nell’ultimo lustro, a Roma, lo si è ascoltato quasi ogni anno in esecuzioni dell’Accademia di Santa Cecilia, dell’Orchestra di Roma e del Lazio, e dell’Orchestra sinfonica di Roma. In quanto addio alla vita ha un nesso molto forte con “Opfergang”. Nella precedente esecuzione nei concerti dell’Accademia, nel 1994, aveva concertato Myung-Wehun Chung e i solisti erano stati Anna Larsson e Thomas Moser. A differenza della concertazione passionale di Chung (densa di richiami, ad esempio, a Sawallisch e a Maazel), la bacchetta di Pappano è tersa (come quelle di Boulez e Walter , di cui esistono ottime edizioni discografiche); l’”addio” ( Der Abschied è il lungo finale) è più straziante, meno improntato a serenità Zen. Di grandissimo livello sia Anna Larsson (di nuovo nel ruolo di protagonista) sia Simon O‘ Neill.

(Hans Sachs) 11 gen 2010 11:43

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