ECO - Le grandi “ondate” tra privatizzazioni e nazionalizzazioni
Roma, 13 gen (Velino) - La letteratura sulla teoria economica delle privatizzazioni è molto vasta. In generale, si fonda sull’ipotesi che gli imprenditori privati riescono a cogliere i segnali del mercato meglio e più speditamente dell’operatore pubblico ed analizza l’efficienza finanziaria, economica, sociale e politica dell’assetto proprietario (se privato o se con una più o meno vasta partecipazione dello Stato e delle sue diramazioni). Anche le teorie “positive” elaborate negli ultimi anni, pur spiegando e modellizzando le varie modalità di privatizzazioni, non forniscono una spiegazione rigorosa delle ragioni economiche per cui a “ondate” di nazionalizzazioni seguono “ondate” di privatizzazioni. In Europa, ed anche in Nord America, ci sono state “ondate” vaste e durature di nazionalizzazioni negli Anni Trenta e nel periodo immediatamente successivo la fine della seconda guerra mondiale. Ad esse ha fatto seguito un’“ondata” di privatizzazioni iniziata in generale negli Anni Ottanta, ma cominciata in Italia con una decina d’anni di ritardo rispetto al resto del continente. Dal 2007, è in atto una nuova “ondata” di nazionalizzazione in quasi tutti i maggiori Paesi Ocse. L’Italia è stata un’eccezione; l’”ondata” ha frenato il processo in atto nel nostro Paese ma ha lasciato spiragli per una nuova fase come parte integrante della exit strategy dalla crisi economica e finanziaria che ha caratterizzato la seconda metà della prima decade di questo secolo.
Sarebbe banale spiegare queste “ondate” unicamente rispetto all’andamento dei cicli economici in quanto le fasi “nazionalizzazioni” hanno spesso coinciso o con profonde e lunghe recessioni; tra l’altro la fase successiva alla seconda guerra mondiale richiedeva, sì, lo smaltimento del forte debito pubblico accumulato durante il conflitto ma si è verificata in gran misura in parallelo con i “miracoli economici”, in cui l’esperienza dell’economia di guerra aveva diffuso la convinzione che la programmazione economica da parte dello stato fosse la leva necessaria per meglio indirizzare energie dell’intera economia. Un approccio interessante viene presentato in un lavoro ancora inedito di due political economists francesi, Jean-Jacques Rosa e Edouard Perard della parigina Sciences Po in cui si presenta un modello esplicativo dei cambiamenti di perimetri tra pubblico e privato e della loro scansione temporale. Il modello comporta la costruzione di un processo di asta competitiva per i diritti di proprietà su imprese; i contendenti sono gli investitori privati e lo Stato. Nel modello, gli investitori privati attribuiscono valore ai rendimenti per gli azionisti, lo Stato alla sopravvivenza politica ottenuta tramite il trasferimento di cash flow a vari clientes politici. Le fasi di nazionalizzazioni e di privatizzazioni dipendono da quale tipo di investitore (i privati o lo Stato) hanno il costo opportunità relativamente più basso nel partecipare all’asta vincendola. Una verifica econometrica dell’ipotesi, su un arco di 15 anni (1988-2002) su otto Stati europei (Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia) convalida il modello e le sue ipotesi.
Quali le implicazioni per l’Italia, dove le privatizzazioni sono in fase di stallo da quattro anni? Nel breve termine, ci sono opportunità (se non di privatizzazioni, almeno di liberalizzazioni) nei comparti del trasporto aereo e marittimo e dei servizi pubblici locali (soprattutto quelli idrici). Ci potrebbero essere ulteriori privatizzazioni di Eni, Enel, Rai, Poste e Finmeccanica se (anche a ragione della forte iniezione di liquidità effettuata, nei Paesi Ocse) nel 2008 e nel 2009 e dell’alto tasso d’indebitamento delle pubbliche amministrazione, una volta stabilizzati i mercati finanziari, ci siano le condizioni perché l’asta delle privatizzazioni riprenda nei termini delineati da Rosa e Perard.
(Giuseppe Pennisi) 13 gen 2010 11:34
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