lunedì 25 gennaio 2010

Lirica, il “Falstaff” di Zeffirelli inaugura l’Opera di Roma Il Velino 25 gennaio

CLT - Lirica, il “Falstaff” di Zeffirelli inaugura l’Opera di Roma

Lirica, il “Falstaff” di Zeffirelli inaugura l’Opera di Roma
Roma, 25 gen (Velino) - “Falstaff” ha inaugurato sabato scorso la stagione 2010 dell’Opera di Roma (dove resta in scena sino al 31 gennaio). Arrigo Boito, autore del testo preso da due plays shakespeariani e l’ottantenne Giuseppe Verdi, chiamarono il lavoro “commedia lirica in tre atti”. Verdi sapeva di non avere l’indole per un’opera buffa, specialmente di quelle che, terminato il romanticismo, riprendevano ad apparire sui palcoscenici italiani e si riallacciavano alle opere comiche del Settecento e di inizio Ottocento. “Falsfaff” – come scrive efficacemente Lorenzo Arruga nel suo recente “Il Teatro d’Opera Italiano: una storia” (Feltrinelli) - è un’“opera seria rovesciata” dove Verdi “guarda i moti veri, le pazze passioni, le gelosie inquietanti dei suoi personaggi, con la libertà di un disincanto che prova come gioia”. Differente la lettura dell’87enne Franco Zeffirelli, autore di regia, scene e costumi dello spettacolo: è il nono della sua carriera ma sono tutti evoluzione di quello che predispose nel 1956 nella lontana Tel Aviv (con Serafin al podio) e che è stato in scena al Metroplitan per oltre 40 anni ed è stato riprodotto in due dvd. A Roma si era già visto negli anni ‘60 e ‘70. Per l’occasione dello spettacolo inaugurale sono state rifatte le magnifiche scene e i bellissimi costumi sui bozzetti originali in quanto, purtroppo, il materiale degli anni ‘60 e ‘70 è andato distrutto.

"Falstaff” viene letto da Zeffirelli come una spassosa commedia umana piena di gags trattate, però, con mano leggera. E’un’impostazione antitetica rispetto a quella che prevale da circa 30 anni (in particolare dall’edizione Giulini-Eyer coprodotta da Los Angeles, Londra e Firenze) e in cui il tema di fondo è l’ironia nostalgica con cui un anziano, consapevole dell’invecchiamento, guarda agli scherzi della vita. Divertente (forse troppo), ma privo dell’ironica melanconia con cui un ottantenne guarda alla propria giovinezza e soprattutto alle relazioni affettive (tra adolescenti, tra adulti in tradimenti reciproci, tra coppie male assortite) nello scorrere dell’esistenza. E’ una delle tante chiavi di lettura possibili. Una analoga era stata scelta alcuni anni fa al “San Carlo” sempre per un’inaugurazione di stagione. Ha un effetto immediato sul pubblico che se la spassa, ma non rende correttamente il disincanto nostalgico e ironico e il senso delle varie sfumature dell’amore che anima tutti i personaggi. Non mette in risalto, poi, quella che all’epoca fu una scrittura orchestrale piena d’innovazioni, tra cui la trascinante “fuga” finale.

Zeffirelli è ancora una forza della natura; quindi, anche il direttore d’orchestra Asher Fisch (che in altre occasioni ha concertato con una vena di melanconia) è travolto dall’allegria. Dei quattro baritoni che si alternano nel ruolo del protagonista, tre sono “d’epoca” (Renato Bruson, Juan Pons e Ruggero Raimondi) ma ancora valentemente sulla breccia; anche il quarto (Alberto Mastromarino) è un veterano del ruolo e abituato a lavorare con Zeffirelli. Per gli altri ruoli, in generale cantanti giovani (come Myrtò Papatanasiu, Serena Gamberoni) pur se Mrs. Quickly è la ancora efficace Elisabetta Fiorillo. Una sorpresa: il giovanissimo tenore americano Taylor Stayton. La sera dell’inaugurazione – teatro pieno di fiori, smoking, abiti lunghi, champagne (o prosecco?) e cioccolatini per tutti gli spettatori nel primo intervallo- il protagonista è stato Renato Bruson, classe 1936. Ha interpretato il ruolo centinaia di volte (anche nell’allestimento Giulini-Eyer citato in precedenza) e c’è chi lo ricorda in una produzione zeffirelliana romana del 1966. E’ senza alcun dubbio un grande attore che, con la sua professionalità, sa supplire ad un volume di voce che, a 74 anni, non c’è più. Necessiterebbe una direzione d’orchestra che abbassi il volume del golfo mistico nei suoi “a solo”; ciò richiede grande maestria e può creare scompensi di impasto con gli altri interpreti.

Fisch, travolto dall’allegria zeffirelliana, non lo fa o non ha il virtuosismo per farlo. Nel complesso, però, la concertazione è uno dei punti forti dello spettacolo in quanto Fisch fa avvertire, all’orecchio attento, i presagi novecenteschi, quali la “nuova polifonia” e l’utilizzo, modernizzato, di forme, quali la grande “fuga” finale, prese dal passato. Nel gruppo maschile, primeggia, oltre al giovane Stayton, ottimo anche come attore, Carlos Álvarez, un Ford di livello la cui vocalità rotonda fa avvertire ancora di più i problemi di Bruson nella scena a due del primo quadro del secondo atto. Molto buono il gruppo femminile: Myrto Papatanasiu è un’Alice sensuale e cattivella, Elisabetta Fiorillo una Quickly piena di pepe, Laura Giordano una Nannette deliziosa, Francesca Franci una Meg spumeggiante.

(Hans Sachs) 25 gen 2010 09:48

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