E intanto Sarkozy in Francia sta rinnovando lo Stato
Le riforme costano?
Provate le "non-riforme"...
di Giuseppe Pennisi
A chi gli faceva notare quanto fosse “alta” la spesa per l’istruzione (una delle voci principali del bilancio francese), Marc Blondel, leader storico di Force Ouvrière, il sindacato laico francese, usava rispondere: «L’ignoranza è molto più cara».In questo inizio di 2010 (secondo la “strategia di Lisbona” definita nel marzo 2000, l’Ue sarebbe oggi dovuta essere l’area più dinamica del mondo), parafrasando Blondel, pensiamo che le “non-riforme” sono molto più care. Non in base all’intuizione che le “non-riforme” sono una delle determinanti del più basso potenziale di crescita di lungo periodo (tra quelli dei paesi Ocse) computato dalla Bce per l’Italia, un misero 1,3% l’anno. Ma sulla scorta di analisi puntali e pubbliche. Tutti, dal capo dello Stato ai leader dei vari partiti, insistono sull’urgenza delle riforme e indicano che disegni di legge puntuali saranno presentati alle due Camere in modo da essere esaminati e discussi in parallelo. Quanto tempo ci vorrà per renderle concrete?
Chi ama restare al punto dove siamo, ricorda che ci vollero circa 12 anni (dal 1534 al 1545) per preparare il Concilio di Trento. E altri 18 (in tre fasi) per condurlo in porto. Quando, nel 1563, i lavori del Concilio furono formalmente chiusi, furono necessari altri 30 anni per dare corpo a quelli che hanno, in linguaggio moderno, il nome di decreti attuativi. Non fa alcun cenno al Concilio di Trento, il socio-economista Albert Hirschman (da sempre considerato dalla sinistra riformista italiana tra i propri padri intellettuali – tra l’altro ha studiato a Trieste ed è stato cognato di Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni) nel suo Come far passare le riforme. Tuttavia, dedica un lungo capitolo alla difficoltà di realizzare riforme e ai tempi lunghi necessari per formare una coalizione di volenterosi su un progetto condiviso. A conclusioni analoghe giungono Alberto Alesina, Silvia Ardagna e Francesco Trebbi in un saggio pubblicato alcuni anni fa (il Nber working paper No. 12049) ma probabilmente letto unicamente nel mondo accademico.
Ha avuto invece una notevole eco un libro di Paul Pierson (Dismantling the Welfare State? Reagan, Thatcher and the Years of Retrenchment, Cambridge University Press); anche se pubblicato nel 1994, ha avuto un paio di ristampe (ma non è mai stato tradotto in italiano). Esamina il gradualismo astuto con cui Ronal Reagan e Margaret Thatcher hanno riformato lo stato sociale; ad esempio, in Gran Bretagna sono state utilizzate 14 leggine (spesso tramite emendamenti oscuri preparati da legulei barracuda - esperti) per smantellare le rigidità, spesso senza che neanche i sindacati ed i media se ne accorgessero.
Dai 12 (+ 30) anni del Concilio di Trento, si è passati alla decina degli “Years of Retrenchment” (gli anni della marcia indietro dello Stato interventista, almeno negli Usa e nel Regno Unito). Quanti ce ne vorranno per la tornata che ci si appresta a svolgere in Italia? Se ci si muove bene, forse molto meno. Guardiano alla vicina Francia, In circa un anno, Nicholas Sarkozy ha riformato: la Costituzione (ormai siamo in Sesta Repubblica), la previdenza (aumentando di un anno l’età minima per fruire delle prestazioni), gli orari di lavoro (mettendo di fatto in soffitta “le 35 ore” a settimana propugnate dalla sinistra), gli ammortizzatori sociali (chi rifiuta due offerte di lavoro perde l’indennità di disoccupazione). Ha inoltre privatizzato le autorità portuali, varato regole per il mantenimento di servizi pubblici essenziali in caso di scioperi, riorganizzato i contributi all’industria cinematografica ed ai teatri.
L’elenco è incompleto poiché si riferisce alla Francia osservata, da Roma, con il cannocchiale. Come è riuscito a fare tanto in così poco tempo? Un elemento esterno è la rapidità con cui cambia il mondo nell’età della tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Un dato eloquente è fornito dall’Ocse: meno del 10% dei francesi occupati sono iscritti a sindacati e la percentuale diminuisce da anno in anno. Sarkozy ha utilizzato Domique de Villepin per acquisire il consenso della leadership sindacale, spesso in cene discrete a “Le Dôme” e “La Pérouse” (due ristoranti eleganti della Rive Gauche” o al più casual “Café Procope”, molto legato al Risorgimento italiano, di cui pare che Mme La Président Carla Bruni Sarkozy sia un’appassionata). A mio parere, però, un elemento importante è stato la strategia di distogliere l’attenzione – già seguita nel 2003 a proposito dei lunghi scioperi estivi degli intérmittants (i lavoratori dello spettacolo con contratti basati su scrittore). I media e l’opinione pubblica hanno diretto i loro sforzi alle vicende private del presidente senza dare adeguato risalto a quanto avveniva sul piano delle riforme. Che la lotta ai fannulloni AAet similia non possano svolgere una funzione analoga?
Ma torniamo al costo delle “non riforme”. Uno studio dell’Ocse misura il differenziale di lungo termine di un indicatore composito (livelli e crescita del tenore di vita a parità di potere d’acquisto) rispetto a un benchmark (metro di confronto) convenzionale, gli Usa: Italia e Giappone sono i paesi che presentano il divario maggiore. Le non-riforme ci costano un tasso di crescita potenziale di almeno mezzo punto del Pil l’anno: una legislatura di non riforme vuol dire una riduzione media dei tenori di vita almeno del 3% rispetto a quanto sarebbe stato possibile.
Un’analisi freschissima del maggiore istituto tedesco di ricerca economica (l’Ifo) conferma queste stime. Lo studio Ocse contiene indicazioni specifiche per mettersi al passo. Per l’Italia, esse sono le seguenti: intensificare l’utilizzazione del lavoro (riducendo il cuneo fiscale ed incoraggiando la contrattazione collettiva decentrata al posto di quella nazionale) e aumentarne la produttività (promuovendo la concorrenza nei servizi cominciando dalla privatizzazione e liberalizzazione di quelli pubblici, migliorare scuola e università, modernizzare corporate governance e diritto fallimentare). Un anno nuovo è iniziato, speriamo che qualcosa si muova.
4 gennaio 2010
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