LA DISINFLAZIONE E L’EURO A DUE PIAZZE
Giuseppe Pennisi
L’inflazione ha raggiunto i minimi negli ultimi 50 anni. Il dato era atteso dagli economisti in quanto la forte contrazione del Pil nel 2009 (circa – 5% secondo i preconsuntivi) non poteva non comportare un allentamento significativo del tasso di aumento dei prezzi al consumo (un debole 0,8% nel 2009).
In un’unione monetaria , le implicazioni di inflazione e crescita di un singolo Paese devono essere valutate nell’ambito dell’intera area. Alcuni osservatori internazionali (quali l’Economist Intelligence Unit, Eiu) paventano che il 2010 sarà l’anno dell’euro a due piazze- un letto scomodo se c’è un dislivello tra l’uno e l’altro dei due materassi. L’argomento è che l’uscita dalla crisi del 2007-2008 si presenta asimmetrica con un nucleo di Paesi attorno a Francia e Germania caratterizzati da crescita sostenuta e da ripresa dell’inflazione (tassi di aumento del Pil sul 2% l’anno e dei prezzi al consumo tendente anch’esse al 2% l’anno). A questo punto, la Banca centrale europea (Bce) modificherebbe la linea che tiene dall’estate 2007 ed aumenterebbe i tassi di riferimento, aggravando i problemi di Paesi a basso sviluppo e bassa inflazione quali quelli ironicamente chiamati del “club Med” (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo). Lo shock asimmetrico metterebbe a dura prova la tenuta della moneta unica. Della cui avventura alcuni catastrofisti vedono già la fine.
In primo luogo, tra Natale e l’inizio dell’anno il direttore dell’ufficio legale della Bce, Phoebus Athanassiou, ha scritto una dotta memoria (riservata per quanto possa esserlo un documento che circola nei piani alti di Miniesteri economici e Banche centrali): mentre i trattati Ue prevedono procedure di uscita volontaria ed anche di espulsione, quando si entra nell’euro si accetta una condizione di “perpetuità” (come quando si entra in un ordine religioso). Naturalmente se si è espulsi dell’Ue, non esistono più le condizioni per restare nell’euro. E, di converso, se si rompe il patto di “perpetuità”, si è automaticamente fuori pure dall’Ue con tutte le conseguenze che ne derivano. In soldoni, che l’euro a due piazze non porta necessariamente ad una rottura (neanche nei confronti di discoli come la Grecia). Anzi ha alcuni aspetti positivi: le tensioni all’interno della moneta unica possono indebolirne il valore internazionale e ridurre il sovrapprezzamento rispetto al dollaro (con gioia per i produttori di merci d’esportazione).
Quali le implicazioni specifiche per l’Italia? Il documento Bce n.1128, diramato il 4 gennaio, raffronta, con un’analisi econometrica, l’andamento dell’economia italiana con quella del resto dell’area dell’euro dal 1976 al 2009 (incluso) e conclude che la moneta unica ha ridotte le differenze tra noi e gli altri, non le ha aggravate. Le più recenti stime dei maggiori 20 istituti internazionali di analisi econometrica stimano per l’Italia del 0,9% , inferiore alla media dell’area dell’euro (1,2%), ma nettamente superiore a quelli di Spagna (- 1%) e Grecia ( 0, 2%). Tenendo dritta la barra della politica economica, siamo usciti dal “Club Med”.
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