Con “Manon Lescaut” (in scena a Torre del Lago sino al 13 agosto, a Nizza, il cui teatro la co-produce , in settembre e poi in tournée) si arriva al momento più atteso del ricco festival pucciniano (metà luglio al 30 agosto). E’ un “dramma lirico” rivoluzionario: nel 1893, dopo il lungo sonno pudico del melodramma verdiano, riporta in scena l’eros, in modo suadente nel primo atto, prepotente nel secondo, struggente nel terzo e nel quarto. Lo fa operando sulle voci e sull’orchestra. L’opera inizia con un “chiacchierar cantando” e giunge ai turgidi “do” del duetto delle frenesia sessuale del secondo atto. Il grande organico si cimenta con una scrittura frammentata e ricomposta. In questa edizione, al secondo atto viene aggiunto un preludio, composto da Puccini, ma per varie ragioni mai eseguito in una rappresentazione scenica. Il sinfonismo di questo preludio e dell’intermezzo tra terzo e quarto atto confermano quanto, a quell’epoca, Puccini guardasse a Wagner.
L’aspetto musicale è il punto forte di questa edizione: Alberto Veronesi guida l’orchestra del Festival (molto maturata) scavando nella partitura e svelandone il sinfonismo. Due grandi protagonisti: Martina Serafin , una Manon appassionata e sensuale, e Marcello Giordani (il tenore più apprezzato al Metropolitan) è un Des Grieux trascinato dall’eros. Ambedue vocalmente perfetti, appannano gli altri. Quasi non esistente la regia di Paul-Emile Fourny: trascura la recitazione e riempie il palcoscenico di mimi semi-nudi e ballerini. Bizzarra la scena: l’intero dramma si svolge non a Amiens, Parigi, Le Havre e Lousiana ma nelle rovine del Ninfeo del Bramante a Genazzano.
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