L’eco è giunto pure a Santa Croce a Firenze. Dove riposa Gioacchino Rossini dal 1887 quando i suoi resti mortali vennero lì traslati dal cimitero di Père Lachaise. Il trentennale del Festival monografico a lui intitolato (Rof per gli amici) è stato celebrato non con un fuochi d’artificio ma da una bordata di fischi all’opera inaugurale, “Zelmira”. Due giorni prima, nella Sala Grande di Salisburgo, contestazioni fragorose hanno accolto il suo “Moïse et Pharaon”, pur diretto da Riccardo Muti.
Chi – come Romano Prodi –pratica con solerzia la parapsicologia ed ha avuto modo di scambiare idee con l’inquilino di Santa Croce se che il nostro, pensando a come sono state composte le due opere, se la sorride. Il nodo è collegato ad una vicenda di pensioni di anzianità che il sindacalista-melomane Sergio Cofferati, pur essendone al corrente, si è ben guardato dal fare sapere in giro. In breve, quando nel 1825, il 33nne Gioacchino sbarcò a Parigi, coperto di fama internazionale (ma già diventato, brunettianamente parlando, un po’ fannullone), concluse un contratto di favola con l’Académie Royale de Musique, il teatro di Stato: a) l’Académie avrebbe avuto l’esclusiva a vita dei lavori del pesarese per il teatro in musica; b) Rossini avrebbe prodotto per l’Académie almeno un’opera originale l’anno; c) in compenso avrebbe avuto uno stipendio da sogno con clausola oro (ossia agganciato sia a costo della vita sia a incremento generale della produttività) che si sarebbe tramutato in pensione ove fosse venuta meno la vena artistica.
Allora non esisteva Internet, la stampa era qualche Foglio autorevole ma con limitata circolazione, Brunetta non era in mente Dei. Per i primi tre anni, Rossini rifilò ai francesi tre adattamenti (al gusto parigini) di lavori poco eseguiti : “Le Siège de Corinthe” (rifacimento di “Maometto II”), “Moïse et Pharaon” (versione dell’oratorio “Mosé in Egitto”) e “Le Conte Ory” (basato su una cantata scenica , “Il viaggio a Reims”, d’occasione). Dei tre gli fu caro sono “Le Conte”, ultima opera erotica d’autore italiano, il quale, pur se bigotto, amava le belle donne e considerava il sacramento della confessione una trovata geniale. Ci fu, poi, lo sforzo eroico per dimostrare che era in grado di gareggiare con le nuove mode (“Guillaume Tell”). Subito dopo una valanga di certificati all’Académie ed altre autorità per fare scattare la clausola previdenziale. Era cambiato il clima politico: il Governo di Luigi Filippo non voleva riconoscere il contratto firmato dall’Esecutivo precedente. In materia di diritto della previdenza, i giudici francesi hanno sempre avuto un occhio di riguardo ai dipendenti: la causa iniziata nel 1830 (Rossini aveva 38 anni) venne definita dalla Corte di Cassazione transalpina nel 1836 con effetto retroattivo all’autunno 1829. Dall’età di 37 anni al 13 novembre 1868 (data della morte), il nostro godette di una pensione tale da fare sì che il salone della sua villa a Passy fosse uno i cui inviti erano tra i più ambiti. Con una pensione di questa portata in vista , chi avrebbe avuto per la testa una minestra riscaldata come “Moïse et Pharaon”, riciclaggio di “Mosé in Egitto” di otto anni prima.
E”Zelmira”? Nasce come opera d’occasione (ingraziarsi i Borboni che tornavano a Napoli ed altre teste coronate che rientravano sui troni dopo il ciclone napoleonico) ed in un momento personale complicato. Il 29nne Gioacchino aveva sofferto per il fiasco al San Carlo del suo capolavoro rivolto all’avvenire “Maometto Secondo” e stava per convolare a nozze con la 36nne Isabella Colbran, il cui letto aveva condiviso per anni con l’Impresario Barbaja , datore di lavoro di ambedue (il ménages à troi sarebbe continuato dopo gli sposali). Stendhal la considerò uno dei lavori peggiori del pesarese. Riccardo Bacchelli la giudicava stanca e raffazzonata.
In quel di Santa Croce a chi, con l’aiuto di una medium, dialoga con lui, Rossini ricorda che a lui i fischi non hanno mai fatto un fiasco, neanche quelli alla “prima” del “Barbiere di Siviglia” al Teatro Argentina di Roma, ma si chiede se nel mazzo non si poteva scegliere meglio e se una volta determinati a mettere in scena “Zelmira”era proprio il caso di aggiungere 26 minuti di musica da lui stessi scartati – si intendeva far gareggiare quanto buttato giù per Metternich e la Santa Alleanza con il wagneriano “Crepuscolo degli Dei”? Misteri dolorosi del primo scorcio del 21simo secolo!
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