TOTO NOMINE/ Il vero obiettivo
di Renzi per la primavera
Pubblicazione:
lunedì 12 dicembre 2016
Matteo Renzi (Lapresse)
Approfondisci
NEWS Economia e Finanza
Nel
fascicolo del dieci dicembre, il paludato e compassato The Economist,
definisce Matteo Renzi Il Rottamato e si chiede perché non cerchi di
salvare quel po’ di reputazione che gli resta mantenendo l’impegno di lasciare
la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale. Alla
Casa Bianca sono furiosi: la telefonata di “condoglianze” fatta da Obama a
Renzi (dopo lunghe e incessanti richieste della diplomazia italiana) sarebbe
dovuta restare segreta o riservata, non spiattellata da Filippo Sensi a tutti i
giornali e giornalisti italiani. Gli altri giornali stranieri, anche se non
sempre così duri come The Economist, non presentano analisi meno severe.
Soprattutto in Europa, dove - sottolineano - l’Italia di (mal)governo Renzi è
una mina per il resto del continente.
Ormai che
non ha avuto più il reincarico, si agita tanto non solo per tenere saldi le
redini sulla sua “visione dell’avvenire dell’Italia”, quanto per qualcosa di
più tangibile: le nomine. In primavera, scadono gli incarichi di presidenti,
consigli di amministrazione e amministratori delegati di gran parte
dell’economia italiana in cui la mano pubblica conta ancora: Eni, Enel, Terna,
Leonardo (ex Finmeccanica), Poste, nonché Agenzia delle Entrate, Agenzia del
Demanio e numerose piccole istituzioni.
La legge n.
444 del 15 luglio 1994 ha disciplinato la prorogatio degli organi
amministrativi, la cui configurabilità era stata a lungo dibattuta in dottrina
e in giurisprudenza. Essa consente la proroga degli organi dello Stato, degli
enti pubblici o a partecipazione pubblica, per i 45 giorni successivi alla
scadenza; durante questo periodo possono essere adottati atti di ordinaria
amministrazione e atti urgenti e indifferibili, con indicazione dei motivi di
urgenza e di indifferibilità. Renzi vuole avere le mani in pasta nel
distribuire poltrone a destra e a manca e, quindi, benemerenze per la sua rentrée
in politica (se mai abbia vera intenzione di effettuare almeno un sabbatical).
Ha anche proposto che Luca Lotti resti a palazzo Chigi per presidiare in
suo nome.
All’estero non sono affatto preoccupati per le
celebrazioni dei sessanta anni della firma del Trattato di Roma e ancor meno
per il G-7 di Taormina: sono pure cerimonie che possono essere svolte dal nuovo
Presidente del Consiglio Gentiloni. Sono preoccupati per le riforme che il
Governo Renzi, in tre anni a palazzo Chigi, non ha fatto
utilizzando come arma di distrazione di massa il riassetto istituzionale:
settore finanziario (banche), concorrenza, commercio, mercato del lavoro e, soprattutto,
consolidamento della finanza pubblica (invece di distribuire regalini
elettorali a destra e a manca).
I mercati
finanziari europei sono rimasti abbastanza stabili, nonostante Renzi abbia
terrorizzato gli elettori prevedendo un tracollo delle piazze in caso di
perdita al referendum. Ma è scoppiata la bomba del Monte dei Paschi di Siena,
istituto più antico d’Italia, terzo in numero di correntisti, controllato da
anni dal gruppo del Pd vicino a Renzi.
Naufragato
il piano di ricapitalizzazione predisposto da JP Morgan e da Mediobanca, dopo
un secco no della Banca centrale europea ad altre soluzioni immaginifiche, sta
per essere nazionalizzato (a carico dei contribuenti). Il “rottamatore”,
distratto anche lui e i suoi fidi dal sogno di cambiare l’Italia per introdurvi
un regime alla Francisco Franco, non contento di avere “rottamato” se stesso ha
anche “rottamato” una delle più antiche e maggiori banche europee. Avrebbe
potuto evitarlo solo se avesse seguito le proposte di un piccolo partito, i
Conservatori e Riformisti, di informare, utilizzando anche la pubblicità
pubblica televisiva, gli italiani del cambiamento delle regole europee. Non
solo, tra le grandi banche, il Monte dei Paschi non è l’unica nei guai, ma
anche Unicredit e numerose piccole e medie.
Visto con il
cannocchiale, Renzi lascia l’Italia molto peggio di come l’ha trovata: ultima
nell’eurozona in termini di crescita per il 2017 (anche peggio della Grecia),
con disoccupazione elevatissima, con una minore capacità di produzione
manifatturiera. Ora che non è più a palazzo Chigi sccetti la proposta del Governo
di Papua Nuova Guinea di andare con le donne e gli uomini a lui più vicini a
riformare la Provincia di Enga.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento