13 dicembre 2016
Come far crescere l’economia
In questi ultimi giorni sono stati pubblicati due
paper che spiegano indirettamente perché il Governo Renzi ha fatto cilecca,
soprattutto in materia di crescita economica, e per quali motivi gli italiani
hanno respinto a grande maggioranza, le sue proposte di riforma.
Il primo è un lavoro congiunto di Università
scandinave ed americane. Ne sono autori Carl Henrik Knutseon (Università di
Oslo), John Gerring (Università del Texas ad Austin) e Svend Eruk Skaaning
(Università di Aarhus). Il suo titolo è “Local Democracy and Economic Growth”
ed è apparso in una rivista politologica piuttosto che economica (V.Dm, Working
Paper 2016.39). Il lavoro riprende studi teorici di North e Putnam, che promuovono
la democrazia a livello locale con controllo sociale e incentivi ai politici
locali in modo che scelgano politiche che favoriscano lo sviluppo economico,
tra cui l’offerta di beni pubblici. Applicano i teoremi di North dal 1900 ai
giorni nostri e trovano prove robuste che la democrazia locale favorisce la
crescita. Il nesso è valido anche tendendo conto di effetti specifici di
singoli Paesi o di particolari periodi temporali. Test econometrici aggiuntivi
dimostrano che la relazione è ancora più chiara e più forte in contesti in cui
il gioco democratico opera meglio e con maggiore efficacia a livello
centrale/nazionale e quando le regioni hanno un ruolo più spiccato nella
formulazione e attuazione di politiche economiche. Una tesi che contraddice
l’ipotesi del referendum renziano di trasferire competenze dalla periferia al
centro. Se ci sono state o ci sono disfunzioni, vanno curate senza bloccare sul
nascere la democrazie locali.
Il secondo lavoro – apparso su Economic
Inquiry (Volo.55 pp. 98-114, 2017) – è quello di Santiago Acosta-Ormaecha
(Fondo Monetario) e Atsuyoshi Morozumi (Università di Nottingham) e spiega come
riallocare la spesa pubblica in funzione della crescita economica a seconda dei
differenti livelli di reddito. Lo studio copre 83 Paesi nel periodo 1970-2011 e
conclude che il modo più efficace consiste nel riallocare verso l’istruzione
spese destinate al welfare. Una strategia ce va applicata in particolare a
Paesi a basso reddito medio.
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