IL RITORNO DI BELLINI/
"La straniera" inaugura la stagione del teatro napoletano
Pubblicazione:
mercoledì 28 dicembre 2016
Sara Rocchi nel ruolo di Fanny
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Con La
Straniera, composta da Vincenzo Bellini a 28 anni su commissione del Teatro
alla Scala, inizia, in gennaio, la stagione del Teatro Massimo Bellini, uno dei
più bei teatri d’opera italiani, anche se recenti lavoro di restauro hanno
avuto effetti deleteri su quella che era la sua magnifica acustica in cui lo
spettatore si sentiva avvolto dalla musica.
E’ un
ritorno che salutiamo con gioia in quanto è un’opera che viene rappresentata
molto raramente, nonostante abbia avuto un notevole successo sino alla fine
dell’Ottocento.
La complessa
vicenda si svolge in quel clima romantico e misterioso del primo romanticismo,
tanto caro alle platee dell’epoca. E’ un’opera densa di ispirazione lirica piuttosto
che drammatica. In attesa di vederla su scena (non mancano dischi con
interpreti come Renata Scotto, Monserrat Caballé ed Edita Gruberova),
soffermiamoci su un’altra rarità belliniana Adelson e Salvini, opera che si
vedrà a Catania nel Festival dedicato al compositore in settembre ma in un
allestimento che avuto tre recite di anteprima al Teatro Pergolesi di Jesi.
Adelson
e Salvini è un lavoro che l’allora ventitreenne Bellini, al termine del corso
di composizione, mise in scena nel febbraio 1825, nel teatro del Real Collegio
di Musica di Napoli. Dovette seguire le regole dell’istituzione: ad
esempio, trattandosi di un collegio maschile, i ruoli femminili venivano
interpretati da adolescenti (non da castrati) con registro simile a quello dei
contralti.
L’opera, pur
se concepita come un saggio di fine corso, ebbe un certo successo e si vide e
Venezia, Firenze, Milano e qualche altra città - ogni volta veniva
rimaneggiata, spesso da impresari. In una ‘seconda versione’ di cui non pare
che Bellini ebbe mai contezza, è apparsa senza grande successo a Catania nel
1985 e nel 1992. Una svolta decisiva si è avuta con il ritrovamento di
molte parti della versione originale nel Fondo Mascarello del conservatorio di
Milano. Dopo anni di lavoro, viene presentata , secondo il filologo musicale
Fabrizio Della Seta, una versione identica al 98% identica all’originale nel
1825.
Nella versione
originale del 1825, pur nei vincoli e limiti di un saggio di conservatorio, il
lavoro ha alcune caratteristiche di interesse. In primo luogo, è una rara opera
italiana di quel periodo con parti dialogate (in luogo di recitativi), quindi
‘in stile francese’ con il ‘basso buffo’ che recita e canta in napoletano ,
nonostante la vicenda, tratta da un romanzo nella raccolta Les épreuves du
sentiment François-Thomas Marie de Baculard d’Aurnaud (uno dei primi esempi del
romanticismo ‘gotico’ d’oltralpe) si svolga tra le brume irlandesi. In secondo
luogo, pur se si avvertono forti influenze rossiniane, ci sono anche spunti che
sembrano originale da Schubert e dell’allora giovanissimo Mendelssohn-
Bartholdy, segno che, nonostante le difficoltà logistiche, l’innovazione
viaggiava e le partiture (specialmente di leader) viaggiavano, in carrozza o a
cavallo, attraverso il continente.
Non ci sono
presagi di quello che sarebbe stato il bel canto belliniano ma numerosi spunti
del primo Romanticismo, periodo in cui l’opera andò in scena. I momenti musicalmente
più alti sono i duetti tra baritono e tenore, che anticipano quelli de I
Puritani
L’intreccio
riguarda l’amicizia per la pelle di due giovani (un aristocratico britannico ed
un pittore italiano). Dopo vicende da grand-guignol, interrotte da momenti di
comic relief del basso buffo, tutto si risolve in uno spumeggiante lieto fine.
Ma andiamo
allo spettacolo La regia (Roberto Recchia) e le scene (Benito Leonori) e
costumi Catherine Buyse Diane), portano, con le luci di Alessandro Carletti,
l’astrusa vicenda in un contesto decisamente di primo romanticismo che ben si
adatta alla partitura. Molto belle le scene: dato che Salvini è un pittore,
sono costruite su quadri che ricordano le tele paesaggistiche di
Jean-Baptiste-Camille Corot
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In buca,
abbiamo José Miguel Pérez Sierra con l’orchestra sinfonica ‘G.Rossini’.
L’orchestrazione è ruvida , come spesso avviene nelle ‘opere prime’ (solo nei
suoi ultimi lavori, Bellini diede rilievo a questo aspetto, non considerandolo
più mero supporto alla voce). Un cast giovane in cui brillano il tenore
(Mertu Sungu, nel ruolo di Salvini) e il baritono Radion Pogossov (in quello di
Adelson).
Ha grande
potenziale Cecilia Molinari, l’orfana Nelly contesa tra i due. Una
lode speciale merita Sungu che, celando al pubblico una forte influenza , ha
cantato un ruolo con momenti davvero imperci. Di grande livello tutti gli
altri, che vanno complimentati anche per l’abilità con cui, nelle parti
dialogate, recitano in italiano.
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