Lirica.
Due secoli
dopo “Otello” riconquista Napoli
GIUSEPPE
PENNISI
NAPOLI
Il 30
novembre è iniziata per il San Carlo di Napoli una stagione di grande rilievo:
ben diciassette titoli di opera, il primo dei quali è Otello di Rossini
nel secondo centenario dalla prima assoluta proprio a Napoli. Allora fu un
enorme successo, ora è una rarità da imputarsi sia alla fragilità del libretto
sia alle difficoltà vocali, non ultima quella di disporre di tre te- nori per
controbilanciare un soprano di agilità, esteso tanto verso acuti spericolati
quanto a un registro molto grave.
L’opera
attinge solo in parte all’Othello di Shakespeare, più nitidi sono invece i
riferimenti a Othello di Jean François Ducis, del 1792. Il protagonista
non è il Moro (definito da Stendhal «poco tormentato, poco tenero e molto
vanitoso che sconvolto fa un’isterica follia e arriva a uccidere») ma
Desdemona, torturata dall’amore per il padre, che vuole darla in moglie al
figlio del Doge mentre ella è già sposa segreta di Otello. Ciò spiega perché la
regia di Amos Gitai, che ha avuto anche qualche fischio, poco si integri sia
con le monumentali scene rinascimentali di Dante Ferretti sia con l’azione.
Gitai vede nell’Otello rossiniano un contrasto di civiltà (alcune proiezioni
fanno riferimento alla guerra in Medio Oriente). Una regia forse appropriata
all’Otello verdiano, poco in linea però con una partitura delicata e una
scrittura vocale dominata da vocalizzi e coloratura.
Di altissimo
livello la parte musicale. Con Gabriele Ferro, l’orchestra del San Carlo è in
grande spolvero. Nino Machaidze è la protagonista assoluta della serata sia
sotto il profilo vocale sia scenico, con un distinto sviluppo psicologico. John
Osborn (Otello), Dmitry Korchak (Rodrigo) e Juan Francisco Gatell (Iago) sono i
tre tenori di grande livello che la circondano e contendono per lei. Una
squadra che pochi teatri sarebbero in grado di mettere insieme.
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Di livello
la direzione di Ferro e il cast nell’impegnativa partitura rossiniana Ma la
regia di Gitai è apparsa fuori centro rispetto allo spirito dell’opera
Osborn in
“Otello” (Romano)
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