Come combattere la stagnazione secolare
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L'articolo dell'economista Giuseppe Pennisi
Poco prima di
Natale, il gruppo del consensus (venti istituti di analisi econometrica,
tutti privati, nessuno italiano) ha pubblicato le proprie previsioni per il
2017. Non sono incoraggianti, soprattutto per l’Europa dove il tasso di
crescita, già basso, subirebbe di nuovo un leggero rallentamento. Ancor meno
per l’Italia, la cui frenata (dopo le illusioni di una ripresa) sarebbe
ancora più marcata. Si torna a parlare di “stagnazione secolare”. Che
affliggerebbe soprattutto il continente vecchio, nonostante forti iniezioni di
liquidità che, almeno in Europa, non hanno avuto quasi nessun effetto sulla
crescita reale.
Nel numero
doppio natalizio, The Economist dedica il suo consueto editoriale sulla
politica ed economia a Stefan Zweig, intellettuale, poeta,
scrittore austriaco (suicidatosi in esilio in Messico, perché ebreo, dopo
essere stato costretto a scappare dal vecchio continente); negli Anni Venti e
Trenta Zweig aveva precorso Il Manifesto di Ventotene nell’auspicare
l’unità europea come modo per superare le guerre; ma lo vedeva come un pendolo
che, nei secoli, andava avanti ed indietro, tra “tribalismo” iper nazionalista
ed aspirazione ad una cooperazione sempre più stretta tra le nazioni. E’
altamente possibile che, sotto il profilo socio-politico, Zweig avesse una
visione più lucida dei federalisti di Ventotene. Non bastano certo le geremiadi
che mancano leader come Kohl, Mitterrand e Delors;
sono una parte crescente delle popolazioni europee che vedono, il vero o
presunto dirigismo dell’eurocrazia come la causa dei loro mali e l’euro come il
suo simbolo.
Il problema non
è unicamente tipico del continente vecchio. Nessuno nel 2009 avrebbe mai
immaginato che i tassi Usa sarebbero rimasti a zero per sei anni, che quelli
europei sarebbero diventati negativi, e che le banche centrali dei Paesi del G7
avrebbero aumentato il proprio bilancio di oltre cinque trilioni di dollari. E
anche se l’avesse immaginato, non avrebbe mai potuto prevedere che l’inflazione
negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone sarebbe rimasta ben al di sotto del
2%. Eppure è quello che è accaduto e sta accadendo, spiega con la consueta
verve Larry Summers, ex Segretario al Tesoro Usa all’epoca di Bill
Clinton, ora docente ad Harvard (e nipote di ben due premi Nobel, Paul
Samuelson e Kenneth Arrow). Forse l’economista che
con più convinzione ha rispolverato il concetto di “stagnazione secolare”. In
un articolo, su Foreign Affairs, Summers spiega che i tassi di interesse
di lungo termine segnalano questa situazione: inflazione vicina all’1% per un
altro decennio e tassi reali a zero su ogni orizzonte temporale.«In altre
parole, dopo sette anni di ripresa negli Stati Uniti, i mercati non si
aspettano che si torni alla “normalità”».
La “stagnazione secolare” è un concetto che risale agli Anni Trenta,
e più precisamente all’economista Alvin Hansen. Cosa
significa? Che le economie industriali soffrono di squilibri legati all’aumento
della propensione al risparmio e alla diminuzione di quella a investire. Il che
frena risparmio, crescita e inflazione schiacciando a terra i tassi d’interesse
reali.“La stagnazione secolare aumenta i pericoli di politiche monetarie espansive e competitive – spiega Summers – e anche di guerre valutarie”. Ma si tratta di un gioco a somma zero, poiché le oscillazioni valutarie spostano la domanda da un’area monetaria a un’altra senza aumentarla a livello globale. Quello che ci vorrebbe disperatamente, al posto delle guerre valutarie, è un coordinamento internazionale “per evitare un ricorso eccessivo e controproducente alle politiche monetarie e per affrontare assieme i problemi affidandosi alle politiche fiscali”. Ritornare a Bretton Woods, ed in Europa forse agli accordi europei sui cambi (colloquialmente chiamati Sme) potrebbero essere percorsi fattibili?
Per l’economia internazionale è difficile pensare che i principali attori dell’economia internazionale (Stati Uniti, Cina, Russia), siano interessati ad un sistema di cambi flessibili e gestiti, in modo cooperativo, a livello del Fondo monetario e di altra istituzione finanziaria. Ancora più arduo pensare che gli Stati del Nord e del Centro Europa possano accettare di modificare le regole di base dell’unione monetaria e fare un passo indietro rispetto di quello che ancora il sogno dei “federalisti”.
L’unica alternativa possibile per Paesi come l’Italia consiste nel cercare di uscire dalla trappola della stagnazione secolare aumentando la produttività dei fattori di produzione, ma da oltre un decennio non vengono effettuate politiche di innovazione, ampliamento delle imprese, modernizzazione. Non resta che continuare a saltellare: in linea con l’Anno del Gallo attribuito dal calendario cinese al 2017 ormai alle porte.
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