L’Italia peggio della Grecia E per
Renzi il vero incubo si chiama debito pubblico
GIUSEPPE PENNISI
Così come l’ombra di Banco
tormentava le notti di Macbeth, il debito dell’Italia è un incubo per quelle
del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nonostante le rassicurazioni del
ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, secondo le quali
saremmo su un sentiero «sostenibile». Dall’ultimo bollettino di Bankitalia a
maggio, il debito ha sfiorato i 2.200 miliardi di euro e dall’inizio del 2015 è
cresciuto di 83,3 miliardi. È probabile che a fine anno sarà prossimo vicino al
140% del Pil, in termini nominali.
La Banca dei regolamenti internazionali
(Bri) ha pubblicato di recente una nuova base di dati nel fascicolo di
settembre della Quaterly Review dell’istituto. Il lavoro compara (ora per 40
Paesi, 26 avanzati e 14 emergenti, ma l’ambizione è di giungere a coprire tutto
il mondo) il valore nominale del debito dei singoli Stati con quello di
mercato.
Per l’Italia il debito pubblico in
senso stretto (core debt) – ossia quello del perimetro delle pubbliche
amministrazioni – passa da un valore nominale di 128,6% del Pil a fine 2013 a
uno di mercato pari a 138.2%. È un dato che può essere letto in due modi
divergenti. Poiché le statistiche del Pil 'a parità di potere d’acquisto' sono
omogeneizzate dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale, la stima che rileva è
quella del valore di mercato.
Un debito di mercato superiore al
debito nominale, da un lato, può volere dire che i mercati hanno già messo in
conto un’operazione straordinaria 'taglia debito' di cui nessuno (almeno in
Italia) vuole sentire parlare. Da un altro, può significare che i mercati si
attendano, anzi abbiano già scontato, un aumento dello spread-tassi d’interesse
più alti di quelli nei nostri concorrenti e, quindi, un incremento della
valorizzazione del debito. In ambedue i casi, la preparazione della legge di
bilancio non può ignorare il problema o pensare che possa risolto con una
manciata di privatizzazioni di partecipate dallo Stato senza incidere su quelle
degli enti locali (le stime variano tra 6.000 e 8.000). Un’azione forte in
questo campo vuol dire non solo grane con autonomie locale ma un incremento
della disoccupazione.
Nei dati Bri c’è un altro aspetto
inquietante: in termini di debito 'a valore di mercato' siamo immediatamente al
di sotto della Grecia e quasi al livello del Giappone. Almeno per i prossimi
tre anni, il debito greco è 'in sicurezza' a ragione del terzo salvataggio (86
milioni di dollari). Il 95% del debito giapponese è interno. Il nostro è nella
mani per metà di italiani e per metà di operatori stranieri. Ove si
verificassero nuove tensioni sui mercati finanziari, potremmo essere i primi
oggetti di attenzione della speculazione.
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