Investimenti, tutti i peccati capitali dell’Italia
Il 22 e 23 ottobre, a Roma ed a
Milano, si svolti due convegni internazionali, quasi in parallelo, con la
stesso tema (o più precisamente con temi molti simili).
Il primo, quello romano, è stato
organizzato dalla Fondazione Fastigi, un’organizzazione senza fini di lucro,
che ha come soci tutti i principali “attori” italiani pubblici e privati nel
campo delle infrastrutture e come missione la ricerca, la formazione e
l’addestramento nel settore delle infrastrutture.
Il secondo, sotto l’egida del D20
(le banche di sviluppo del G20), era imperniato sul nesso tra investimenti a
lungo termine (essenzialmente in infrastrutture), ripresa e sviluppo economico.
I due convegni sono stati
organizzati in tempi non sospetti, diversi mesi fa. E’ quindi pura coincidenza
che si siano tenuti mentre si metteva a punto la legge di Stabilità (di cui il
15 ottobre erano state inviate slide alla Commissione europea), prima di
poterla inviare al Quirinale per il consueto esame preliminare al dibattito
parlamentare. Quindi, mentre si tenevano i due convegni, indiscrezioni
(intenzionali o immaginarie) sul testo della legge apparivano sui giornali.
Le indiscrezioni riguardavano un po’
tutto, ma non il presente (triste) ed il futuro (non lieto) delle
infrastrutture in Italia. Secondo la bozza della legge di Stabilità, la spesa
pubblica per infrastrutture sarebbe scesa a poco meno dell’1,5% del Pil,
rispetto al 3,5% del Pil negli Anni Ottanta (in linea con la media OCSE di
allora, leggermente caduta ad oggi in buona misura a ragione della riduzione
nell’Eurozona e più particolarmente in Italia), del 2,5% alla fine degli Anni
Novanta (in gran parte a ragione della contrazione della spesa pubblica per
poter essere ammessi nell’Eurozona), a meno dell’1,5% oggi.
Dall’inizio della crisi finanziaria
ad oggi, la spesa pubblica in conto capitale ha subito una riduzione del 40%
circa. Alla riduzione della spesa per “competenza”, si aggiunge la paralisi,
nonostante il decreto Sblocca Cantieri, attribuibile almeno in parte alle
riorganizzazioni in corso sia al ministero sia negli enti e società ad esso
collegati.
Quindi, mentre a Milano, il D20
declinava i vantaggi degli investimenti a lungo termine per la crescita della
produttività e della competitività – quelli a breve e medio termine incidono
principalmente sull’utilizzazione della capacità produttiva e dunque
sull’occupazione, a Roma l’Italia delle infrastrutture pareva un Paese in
apnea: molta voglia di fare, ma poche risorse finanziarie e pochissimi
strumenti.
Ridotta a livelli così bassi la
spesa totale, ci si concentra necessariamente su piccoli interventi di
completamento e manutenzione straordinaria. Utili e spesso urgenti (si pensi
alle strade di Roma Capitale), ma ben lontane dall’afflato che si aveva quando,
ad esempio, negli Anni Sessanta il traforo del Monte Bianco venne costruito in
appena tre anni e l’autostrada del Sole ci veniva invidiata in tutto il mondo.
Solo colpa del “destino cinico e baro” che ci ha causato una pesante crisi
economica?
Dal convegno di Roma è risultato che
ci siamo fatti male da soli. Ad esempio, per programmare investimenti a lungo
termine, in quasi tutti i Paesi si utilizzano matrici di contabilità sociale
che consentono, applicando una modellistica di equilibrio economico, di stimare
effetti ed impatti ed ottimizzare il loro contributo agli obiettivi di politica
economica.
La matrice italiana è ferma al 1994
(quindi del tutto obsoleta), poiché nel 1996 il governo decise di eliminarla
dal programma di lavoro dell’Istat; oggi siamo in imbarazzo nelle riunioni Ue
su questi temi, poiché gran parte degli Stati membri dispongono dello
strumento. Inoltre nel 2007 sono cessati i corsi di formazione in materia di
preparazione e valutazione di investimenti pubblici ed anche il programma di
sperimentazione con la Banca Mondiale ed il ministero dell’Economia e delle
Finanze.
26/10/2015
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