Il festival
Roma, a San Pietro risuona la modernità
della musica sacra
UROMA sciti la sera di giovedì in una stracolma
Piazza San Pietro dove una leggera pioggia mitigava il caldo di un tardo
scirocco, non si poteva non riflettere sulla modernità del concerto appena
ascoltato. Per l’inaugurazione del XIV Festival internazionale di musica e arte
sacra (dedicato a Giovanni Paolo II), è stato scelto un programma che amalgama
differenti epoche e stili: per l’elevazione spirituale si ha la Messa
solenne per santa Cecilia di Gounod del 1855, seguita
durante la celebrazione dell’eucarestia della Messa di padre Rupert
Mayer di Hans Berger (completata nel 2008), interpolata,
però, durante la comunione, da un canto orasho
in latino dei kakure kirshitan.
La Messa per santa Cecilia è strettamente legata alla Terza repubblica della borghesia e
dell’industrializzazione trionfante: una scrittura semplice, ma al tempo stesso
grandiosa e caratterizzata da una luce serena. Comporta un organico orchestrale
di medie dimensioni (la Roma Sinfonietta), un coro (sempre Roma Sinfonietta) e
tre solisti. Il tenore (Pierluigi Paolucci) ha nel Sanctus una vocalità “spinta” ed un’impostazione simile
a quella del protagonista dell’opera più nota
di Gounod, il Faust. Il soprano Sachie Ueshima
ha una bella intonazione, ma forse la parte avrebbe richiesto una voce più
spessa. Buono il baritono David Ravignani.
Si passa poi, durante la celebrazione
eucaristica officiata dal cardinal Cremaschi, alla prima italiana della
Messa di padre Rupert Mayer di Hans Berger. Padre Rupert
Mayer (1878-1945), beatificato nel 1987, è stato un gesuita che si oppose al
nazismo. La Messa segue gli stilemi musicali
della fine del Novecento per un lavoro che intende essere grandioso: un
organico orchestrale più ampio, un doppio coro (il Montini Chor), una scrittura
orchestrale più possente che raffinata, echi di musica americana, testo nella
lingua del Paese (qui, tedesco). Al momento della comunione, il lavoro di
Berger viene amalgamato con un dolcissimo canto orasho della “Chiesa del silenzio” giapponese di circa tre secoli fa
eseguito dal nipponico IlliminArt Philharmonic Chorus. L’innesto funziona
perfettamente. Al termine, il tenore ha ripreso il Sanctus di Gounod quasi a riaffermare che la musica classica è sempre
contemporanea. Il vero coup de théâtre del
concerto è la giovane direttrice Tomoni Nishimoto, che domina un complesso
organico.
Il festival prosegue nelle basiliche romane
sino al 4 novembre sia con concerti monografici (ad esempio il Requiem verdiano o la Settima e l’Ottava
sinfonia di Beethoven eseguite dai Weiner Philharmoker)
sia con giustapposizioni (ad esempio l’ultimo lavoro per organo di Giovanni
Allevi inserito in un concerto per organo che spazia da Bach a Mendelssohn).
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Roma
XIV FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA E ARTE SACRA
Fino al 4 dicembre
Fino a mercoledì la rassegna, dedicata
quest’anno a Giovanni Paolo II, amalgama differenti epoche e stili in varie
basiliche romane, tra tradizione (Gounod, Verdi, Beethoven con i Weiner
Philharmoker) e innovazione (Berger, Allevi)
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