Ecco i rischi per l’Italia del dollaro bucato
05 - 10 - 2015Giuseppe Pennisi
The Economist in edicola dal tre ottobre contiene
un inserto speciale di 14 pagine sul dollaro, sui suoi problemi e su quelli che
può arrecare al resto del mondo. L’analisi è tarata a quella che Richard N.
Garden, Ambasciatore USA in Italia nella seconda metà degli Anni Settanta,
chiamò The Sterling Dollar Diplomacy in un memorabile libro del 1956,
aggiornato nel 1969 e ripensato in un saggio pubblicato nel 1986 su
International Affairs il trimestrale del britannico Royal Institute of
International Affairs. ‘Tarato’ non vuol dire rimasto nell’ottica degli
anni che dalla fine della seconda guerra mondiale giungono quasi ai prolegomeni
della nascita dell’euro. Significa che l’inserto guarda ai temi ed ai problemi
del dollari essenzialmente da una prospettiva anglosassone.
L’analisi , per sintetizzare
l’essenziale, porta a questi punti salienti:
·
Nonostante il deprezzamento degli ultimi tempi, il dollaro resta la
valuta dominante dell’economia mondiale ma è diventato ‘ pericoloso’. Quindi,
attenzione a ripetere la politica del benign neglect che ha
caratterizzato alcune fasi della politica economica estera americana dalla
fine, nel 1971-73, del regime di Bretton Woods.
· I
‘pericoli’ provengono da una seconda linea di difesa se il dollaro
(specialmente quello detenuto da stranieri) entra in crisi. Nel 2008-09, le
autorità monetarie americane operarono come banchiere di ultima istanza
rispetto al resto del mondo (segnatamente all’Europa). Ma non si vede chi possa
farlo nei confronti del Vecchio Continente, dell’Asia e dell’America Latina.
· Non
certo l’euro della cui sopravvivenza nel medio o lungo periodo numerosi
economisti americani (e non solo) dubitano. Ed i dubbi saranno sempre maggiori
se non viene creata una vera unione bancaria ed un effettivo mercato unico dei
capitali. Men che meno lo yuan, diventato l’equivalente di un autostrada ad
almeno otto corsie, ciascuna caratterizzata dagli swaps monetari tra Pechino ed
altri Paesi.
· Il vero
pericolo è gli Stati Uniti utilizzano il dollaro ‘dominante’ come arma di
politica estera come si è visto (e The Economist lo documenta) nei
recenti negoziati con la Russia e con l’Iran.
Questo il succo dello studio, in cui
si sottolinea (saggio di Gardner del 1986) che quando finì la Sterling
Dollar Diplomacy con la svalutazione della moneta britannica nel novembre
1967, il dollaro assunse un ruolo dominante ma Usa e Regno Unito restarono
stretti alleati, mentre ora la politica monetaria estera americana ha a che
fare con potenziali concorrenti ed avversari.
Se si condivide l’analisi di The
Economist, occorre chiedersi cosa implica per un’Italia alle prese con la
formulazione della legge di bilancio. The Economist non avrebbe dedicato
tanti sforzi se non avvertisse l’olezzo (buono o cattivo che sia) di una
tempesta monetaria’ tale da coinvolgere il dollaro . In effetti, i timori
ed i tremori che hanno attraversato pochi mesi fa l’Asia potrebbero essere
letti dagli storici economici di domani come l’anteprima di un temporale molto
più forte. Il prossimo potrebbe di nuovo venire dall’Asia, dove l’Asean
(Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico), vista l’esperienza europea
ha accantonato il progetto di andare verso un’unione monetaria. Ma potrebbe
venire anche dall’Europa, come previsto un quarto di secolo fa da economisti
come Martin Feldstein e Alberto Alesina, e come dimostra il crescere di
movimenti anti-euro nei Paesi della moneta unica.
In una di queste ipotesi , cosa ne
sarebbe dell’Italia che ha il debito pubblico più elevato in Europa, la metà
del quale detenuto da investitori stranieri? E’ la domanda che dovrebbe porsi
chi sta predisponendo la legge di bilancio nella consapevolezza che la Banca
centrale europea non ha la funzione di ‘prestatore di ultima istanza’ e che non
c’è un Amico Americano pronto a soccorrerci.
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