IL DEBITO DEL MONDO
Giuseppe
Pennisi
La stampa quotidiana si interessa
raramente alla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), una delle più
antiche organizzazioni internazionali con compiti importanti . Il suo
principale scopo è quello di promuovere la cooperazione tra la banche centrali.
Al contempo, la BRI fornisce specifici servizi finanziari in qualità di
"banca delle banche centrali" ed opera come agente o mandataria (trustee)
nei pagamenti internazionali che le vengono affidati. Infine, la BRI rappresenta
oggi un rinomato specialistico centro
internazionale di ricerca in ambito finanziario, monetario ed economico.
Nell’ambito di queste attività, la BRI
ha prodotto di recente una nuova base di dati sul debito pubblico, curata da
quattro dei suoi funzionari Christian
Dembiermont, Michela Scatigna, Robert
Szemere e Bruno Tissot. Il testo integrale del lavoro può essere letto nel
fascicolo di settembre della Quaterly
Review della BRI. E’ una disanima che compara il valore nominale dei
singoli Stato con quello ‘di mercato’, fornisce dati sull’indebitamento del
settore privato, rende omogenee le varie statistiche nazionali. Per ora il
lavoro riguarda 40 Paesi (di cui 26 sviluppati). L’intenzione è di estenderlo a
tutti gli Stati membri della BRI. Ma già su questa base, si possono trarre
conclusioni interessanti. Il saggio, ancorché tecnico, è molto chiaro e se ne
consiglia la lettura a coloro che in queste settimane sono coinvolti nella
preparazione di leggi di bilancio (o simili) e, quindi, di sostenibilità del
debito pubblico.
I dati nuovi od aggiornati rendono
possibile le definizione e la copertura degli indicatori sul debito in modo
omogeneo e coerente, facilitando così i raffronti tra Paesi e le analisi
relative ai singoli Paesi, anche perché sono su base trimestrale (un lasso di
tempo adeguato per analisi ed in consonanza con gli aggiornamenti trimestrali
delle statistiche sui conti economici nazionali dei maggiori Paesi). Inoltre, i
dati consentono raffronri con le statistiche sul debito del settore privato non
finanziario che la BRI raccoglie sistematicamente dal 2013; quindi le analisi
possono ora tenere conto (in termini nominali e di valore ‘di mercato’) per
regioni e per settori, includendo anche il settore privato non finanziario.
Complessivamente i dati mostrano che
mentre il dibattito degli ultimi anni ha riguardato quasi esclusivamente il
debito pubblico, od il debito di quello che un tempo veniva chiamato ‘settore
pubblico allargato’,l’indebitamento del settore privato non finanziario era in
rapida ascesa ben prima della crisi del 2008, mentre il debito del settore
pubblico (per il complesso dei 40 Stati) è cominciato a crescere in parallelo
con le tensioni e fibrillazioni del
2008, at un tasso ‘rapido e persistente’. Al tempo stesso, però, il debito privato si stabilizzava, in varie
forme e modi. Era , però, una mera una riduzione della crescita non una
riduzione: nel complesso il debito privato del settore non finanziario dei
Paesi considerati è cresciuto dal 229% del Pil nel 2007 al 265% a fine 2015 (
in termini di parità di potere d’acquisto).
Nei Paesi ‘emergenti’ in via di
sviluppo, in questo periodo, il debito pubblico è stato sostanzialmente
stazionario, mentre quello privato è
cresciuto dal 117% al 167% del Pil.
Per l’Italia il debito pubblico in senso
stretto (core debt) passa da un
valore nominale di 128,6% del Pil a fine 2013 a ad uno di mercato pari a 138.2%
. Non c’è da stare allegri : la differenza di 9,6 punti percentuali indica che
il mercato internazionale valuta il debito italiano meno di quanto dicano le
cifre ufficiali. Ciò dipende da numerosi elementi. Dato che i dati BRI ci
pongono immediatamente al di sotto della Grecia e quasi al livello del
Giappone, non è il caso che si ritorni a parlare di debito pubblico e di come
ridurlo? Tema che pare essere stato accantonato negli ultimi due anni.
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