Vertice teso a Francoforte I nemici del QE
all’attacco: il piano, per loro, ha fallito
Ad una lettura superficiale del comunicato
della prima riunione autunnale del consiglio della Banca centrale europea si ha
l’impressione che il paio d’ore passato insieme dai governatori sia stato speso
in amabili convenevoli: il tasso principale di rifinanziamento resta al minimo
storico dello 0,05% ed i tassi sui prestiti marginali e sui depositi bancari
allo 0,30% ed al -0,20%. Che la riunione non sia stata di tutto riposo lo si
avverte dalla parole pronunciate dal Presidente Bce, Mario Draghi, alla
conferenza stampa quando ha lasciato intendere che è pronto, se del caso, ad
estendere nel tempo il Quantative Easing (acquisto di buoni del Tesoro delle
banche centrali nazionali) ed anche ad aumentare il volume di titoli acquistati
ogni mese. In effetti, a sei mesi dall’avvio del QE, il suo impatto quasi non
si avverte: i segnali di crescita sono tremuli, l’inflazione è solo leggermente
al di sopra dello zero, il tasso di disoccupazione è diminuito solo
marginalmente, ci sono ancora segni di deflazione. Secondo Zsol Darvas, un
economista del centro di ricerche Bruegel, questi dati rafforzano la tesi di
quei Governatori che si sono opposti per mesi al QE e hanno dovuto accettare di
'ingoiarlo' per non essere accusati di non avere permesso alle autorità
monetarie di utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione. A questa
ipotesi si oppone quella di altri Governatori e dello stesso Mario Draghi.
Secondo loro di QE non se ne è fatto abbastanza; quindi, l’indicazione,
presentata in conferenza stampa, di essere pronto a proporre al Consiglio Bce
un aumento e della dose e della durata della cura, oltre il settembre 2016.
Sino a quando i verbali della riunione non
verranno pubblicati, non si saprà se e in che modo il Consiglio ha esaminato il
nuovo contesto internazionale non tanto gli effetti di quanto sta avvenendo in
Cina quanto dell’ormai imminente aumento dei tassi di riferimento da parte della
Federal Reserve Usa. Tale mossa sarebbe indubbiamente coraggiosa sul piano
interno americano (in quanto si avvicinano le elezioni presidenziali) ma
avrebbe implicazioni profonde sui flussi di capitale e quindi sui tassi di
cambio. Nessuno tuttavia pare voler porre il problema cruciale: da sola la Bce
non può fare svoltare l’eurozona (verso la crescita) se le politiche di
bilancio restano restrittive. Il QE funziona solo se in parallelo, si hanno
politiche di bilancio maggiormente flessibili e con maggiore accento sul
capitale fisso sociale (ossia le infrastrutture).
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