“Le
dissonances” al Festival Enescu
15 - 09 - 2015Giuseppe Pennisi
Alcuni
numeri riassumono il Festival Enescu che ogni due anni a settembre è diventata
la prosecuzione naturale di coloro che in luglio-agosto si recano al Festival
Estivo di Salisburgo: 22 giorni di festival; 22 lavori di Enescu eseguiti dai
maggiori complessi mondiali; tre Baronetti britannici tra gli artisti; Simon Rattle; Roger Norrington e Andreas Schiff;
dieci vincitori del concorso internazionale (abbinato da alcuni anni al
Festival); 11 tonnellate di attrezzature unicamente per i concerti dei Berlin
Philarmoniker; 9,000 notti di albergo prenotate per gli artisti; 1200 voli
aerei di linea, 14 charter e due cargo; oltre mille litri di acqua, 9000 tasso
di caffè, e 3000 di te predisposte per gli artisti durante gli intervalli.
Queste
cifre danno un’idea dello sforzo, e dell’interesse, di una manifestazione
biennale nata nel 1958, che, dopo una fase di difficoltà negli Anni Settanta, è
diventato, dal 1990 è diventato uno dei maggiori appuntamenti musicali
mondiali. Quest’anno, ad esempio, presenta cinque opere, concerti delle 26
maggiori orchestre internazionali ed una vasta serie di cameristica e
contemporanea. Bucarest pullula di giovani anche in quanto i prezzi di
biglietti, hotel, ristoranti sono fortemente competitivi con quelli di
manifestazioni analoghe.
In
tre giorni a Bucarest ho visto ed ascoltato tre opere e tre concerti; il
programma è intenso con concerti che iniziano spesso alle 11 del mattino e di
cui l’ultimo della giornata comincia alle 22,30 ( e termina attorno alle 2
della mattina successiva). In questa nota mi concerto su due concerti
dell’ensemble francese “Les Dissonance”, una formazione molto particolare in
quanto non ha un vero e proprio direttore d’orchestra; di volta in volta ne
prende le funzioni uno dei solisti. In effetti, si tratta di un gruppo di
solisti che amano suonare insieme Il segreto consiste nel grande numero di
prove che produce sonorità perfettamente amalgamate.
Altro
aspetto è che i concerti sono stati tenuti nello Ateneul Román, un vero e
proprio gioiello inaugurato nel 1888. Una sala di concerto ideale, con non più
di ottocento posti e due ordini di palchetti per quattro persone ciascuno.
Sotto il soffitto a cupola, un murale racconta la storia dei romani dai tempi
degli antichi romani alla formazione del Regno. E’ inserita in un delizioso
parco e fronteggia il Palazzo Reale. Mentre il Palazzo (ora museo) è stato
distrutto due volte, prima dai bombardamenti dell’Armata Rossa e poi dalla
rivoluzione del 1969, i romeni eressero difese speciali per il loro Ateneul
considerato quasi il simbolo dello splendore della città in quelli che allora
erano i nuovi quartieri art nouveau , pianificati ad immagine di Parigi.
I
due concerti includevano nella seconda parte brani molto noti come la quinta
sinfonia diBeethoven e
la prima sinfonia di Brahms,
ambedue eseguiti, senza direttore, in modo eccellente da un gruppo chiaramente
molto coeso.
Di
maggior interesse la prima parte dei due concerti. Il 13 settembre ad un brano
noto La Mer di Debussy ha fatto seguito il Capriccio romeno di per viola (David Grimal) e
orchestra- una vera esplosione di gioia con richiami anche alla musica etnica.
Il 14 settembre, si è preso il via con un brano di Schnittke denso di ironia
(Moz-Art à la Haydn) – e pensare che si crede che tutti i compositori sovietici
siano noiosi, seguito da una melodica sinfonia concertante per violoncello (Xavier Phililps)
ed orchestra. Applausi e bis.
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