La Federal Reserve ha lasciato i tassi
immutati perché ritoccarli oggi è più difficile di quanto non lo fosse ieri, o
meglio ieri l’altro prima dell’internazionalizzazione dei mercati dovuta anche
alla tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Lo si tocca con mano
alla luce dell’esperienza degli ultimi vent’anni. Ci sono studi
approfonditi dei sette episodi americani di restrizioni monetarie (li chiamiamo
così gli economisti) dal 1995 ad oggi. In effetti, tali episodi sono terminati
nove anni fa, quando negli Usa sia la politica monetaria sia la politica di
bilancio diventarono molto espansionistici a ragione della crisi che, iniziata
con i mutui subprime, minacciava di travolgere il sistema finanziario.
La prima caratteristica è che sono stati
brevi: mediamente due anni. Nei prime cinque dei sette episodi, la Federal
Reserve ha allentato le briglia del credito dopo poco più di un anno. Per due
determinanti: da un lato, a ragione anche dell’internazionalizzazione dei
mercati, l’inflazione è da un quarto di secolo piuttosto contenuta; dall’altro,
il timore (anzi la paura) di spingere l’economia verso una recessione.
Esperienze analoghe sono state effettuate in Svizzera e Giappone, come Janet
Jellen ha ricordato in una recente audizione in Congresso.
Anche la Banca centrale europea, di
fronte prima alla crisi dei subprime e poi del debito sovrano dell’eurozona nel
2010 ha alzato due volte i propri tassi direttori, nel 2008 e nel 2011, per
adottare successivamente una politica aggressiva di espansione monetaria (che
comprende il Quantitative Easing carato da Mario Draghi, ma non è limitata a
unicamente questo strumento) quando, dati alla mano, si è constatato che
l’eurozona era in recessione con solo pochi Paesi in moderata espansione. La
Svezia è un esempio ancora più puntuale: nel 2010-2011, a fronte di segnali di
inflazione, ha aumentato i tassi di base dallo 0,25% al 2% per effettuare una
brusca virata al fine 2011-inizio 2012: oggi ha tassi negativi.
Che lezioni trarne? In un’economia
internazionalizzata e con rapidi movimenti di capitale è molto più difficile
avere un’idea di quale è il tasso di equilibrio che mantiene la crescita
economica senza accelerate l’inflazione. In passato, le principali banche
centrali si coordinavano e decidevano più o meno all’unisono, mentre adesso
grandi banche centrali (che non appartengono ai club di un tempo) vanno per
conto loro. Tutto ciò incide sui flussi finanziari e sui cambi. Meglio, quindi,
essere prudenti nel maneggiare lo strumento.
Giuseppe Pennisi
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Oggi che ogni banca centrale si muove in autonomia è complicato trovare il
giusto equilibrio monetario
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