OPERA Terremoto a
Los Angeles
In un quartiere a basso reddito di Los Angeles
si intrecciano, a metà gennaio 1994, le esistenze di sette giovani americani di
differente estrazione etnica (dallo yankee puro sangue, all’afroamericano,
all’ispano americano). Le vicende, tanto “normali” da sembrare quasi banali,
finiscono in tribunale e proprio durante l’udienza si scatena il terremoto del
17 novembre. La loro vita cambierà, grazie a una maggiore consapevolezza sociale
e della funzione della caduca avventura terrena. Scoprendo che oltre il
soffitto (che può crollare) c’è il Cielo.
Questa è in breve I was looking at
the cieling and I saw the sky (“Stavo guardando al
soffitto e ho visto il Cielo”, frase detta da un terremotato a un
telecronista), opera di John Adams su libretto della poetessa afroamericana
June Jordan. Negli ultimi dieci anni si è vista in quasi tutto il mondo, tranne
in Italia dove arriva stasera al Teatro dell’Opera di Roma (come premessa di un
festival di musica contemporanea annunciato per la primavera 2016). L’edizione
viene dal teatro Châtelet di Parigi con la regia di Giorgio Barberio Corsetti e
la direzione musicale di Alexander Briger, allievo di sir John Mackerras. Il
cast è composto da sette giovani cantanti americani (Daniel Keeling, Jeanine De
Bique, Joël O’Cangha, Janinah Burnett, Grant Doyle, Patrick Jeremy,Wallis
Giunta). La scena è firmata da Massimo Troncanetti (e dal regista), i costumi
da Francesco Esposito. Di rilievo i video di Igor Renzetti, Lorenzo Bruno e
Alessandra Solimene.
È un lavoro che si differenzia dalle altre
opere di Adams per il teatro (come Nixon in China, The Death of
Klingofger – vista a Reggio Emilia nel 2000 – e la più
recente
Dr. Atomic). Adams è considerato uno dei
caposcuola del “minimalismo americano”
(schemi semplici, eseguiti da piccole
orchestre), ma le sue opere (specialmente
The Death of Klingofger in cui si
giustappongono grandi cori di israeliani e palestinesi) sfiorano il grand
opèra. In I was looking at the cieling and I
saw the sky, Adams prende una nuova piega. La definisce «song opera», ossia
opera costruita su canzoni. Non è un Singspiel (quale Il flauto
magico) in quanto non ci sono dialoghi ma le song, a volte
a più voci, sono sufficienti allo sviluppo drammaturgico dell’intreccio.
L’orchestra è di pochi elementi: tre tastiere elettroniche, un pianoforte, un
sassofono, un clarinetto, una chitarra, un contrabbasso ed una batteria jazz.
Il “minimalismo” diventa un tappeto sul quale si amalgamano blues, hot jazz,
cool jazz, musica ispanica, hard rock, quella “fusione di generi” che si
preannuncia come la caratteristica del teatro in musica del XXI secolo. In
questa «song opera», i video e le proiezioni corrispondono ai vari stili dei
numeri musicali. Grande successo in America e Canada, ha suscitato polemiche a
Parigi. Tuttavia, amalgamare generi ha una lunga tradizione proprio nel barocco
italiano: si pensi a Catone in Utica (visto
quest’estate a Opera Barga e in programma a dicembre al Teatro Verdi di Pisa)
in cui Georg Friedrich Haendel usa brani di vari compositori. Oppure a
The enchanted island, successo al Metropolitan di New York
(visto in Italia in diretta HD grazie al circuito micro cinema) in cui il
librettista Jeremy Sam utilizza musica di Vivaldi, Haendel, Rameau ed altri
compositori (con gli stili più differenti) per uno spettacolo compatto e di
fascino. Il dibattito è aperto.
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Roma, Teatro dell’Opera
GUARDAVO IL SOFFITTO E VIDI IL CIELO
Oggi ore 20.00
Musica
Stasera a Roma «Guardavo il soffitto e ho
visto il cielo» sul dramma che nel 1994 sconvolse la metropoli Usa
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