Già nei Buddenbrook le radici
storico-culturali dell’affaire Volkswagen
Le radici dello scandalo Volkswagen sono due, non
necessariamente tipiche dell’industria automobilistica tedesca. Una di lungo
periodo, l’altra relativamente più recente. La prima è presente in vario modo
nei Paesi chiamati in storia economica «di tarda industrializzazione». Oltre
alla Germania, ad esempio, Francia e Italia.
Il fenomeno della tarda industrializzazione si caratterizza
per la cosiddetta «innovazione adattiva», quando i processi di ricerca e
sviluppo vengono reperiti all’estero e adattati al Paese importatore.
Nell’Ottocento la normativa sui brevetti era piuttosto blanda (il primo ufficio
dei brevetti fu istituito in Gran Bretagna, Paese «di prima industrializzazione
», nel 1853, e la prima convenzione internazionale fu firmata solo nel 1883) e
l’applicazione era ancora più approssimativa. In queste condizioni, lo
spionaggio industriale imperversava: basta leggere lo smisurato romanzo di
Thomas Mann 'I Buddenbrook - Decadenza di una famiglia' per avere un’idea. In
Italia e in Francia, lo scandalo della Banca Romana e l’affare Stavinsky (reso
celebre dal film con Belmondo) avevano come componenti primarie intrecci tra
politica, finanzia ed edilizia, ma riguardavano anche i segreti industriali.
Nella Repubblica Federale è rimasto ancora irrisolto il caso della Fraulein
Rosemarie (titolo anche di un film pluripremiato di Rolf Thiele): l’omicidio di
una donna nel migliore albergo di Francoforte, delitto verosimilmente legato a
spionaggio industriale transatlantico nel settore metalmeccanico.
La seconda radice è connessa alla governance molto speciale
della Volkswagen, creata nel 1937 tra i preparativi alla Seconda guerra
mondiale. È uno strano ibrido d’impresa a vasta partecipazione statale,
controllata da una famiglia (in lite perpetua) e dai sindacati aziendali. La
famiglia è la medesima di quella che detiene la Porsche. Sino a pochi anni fa
era dominata dal presidente Ferdinand Piëche, padre di 12 figli notoriamente
litigiosi. Piëche riuscì a far nominare nel Consiglio di indirizzo e
sorveglianza la propria quarta moglie Ursula, ex maestra di giardino d’infanzia
e successivamente governante di casa Piëche. In base ad un patto parasociale, i
Piëche-Porsche votano uniti negli organi sociali (e hanno la metà delle
azioni). Degli altri dieci componenti del Consiglio, due rappresentano il Land
della Bassa Sassonia (20% delle azioni), due il fondo del Qatar (17% delle
azioni) e i lavoratori. Tre seggi su cinque nel potentissimo Comitato
esecutivo, emanazione del Consiglio, sono appannaggio dei sindacati aziendali.
Markus Roth della Phillips Universitaat di Marburg scrive ironicamente che sin
dall’inizio la storia della Vw è stata un «telenovela». Dato il contesto,
quindi, è del tutto verosimile che un gruppo di 'volenterosi' abbia potuto
operare nel supremo interesse aziendale per trovare un modo con cui manipolare
i controlli sulle emissioni inquinanti. Senza fare alcun rumore, come nel
rossiniano Barbiere di Siviglia.
Giuseppe Pennisi
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