OPERA/ Elektra a Bucarest (e a Monaco)
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Elektra di Richard Strauss e Hugo Von Hofmannsthal è, senza dubbio, uno
dei grandi capolavori del Novecento. I lettori de Il Sussidiario.net sanno
che il vostro chroniqueur ne ha una tale considerazione che la recensisce
almeno un paio di volte l’anno. Girando per teatri, e per il mondo.
Si è recato al Festival Enescu di Bucarest per cogliere l’edizione
presentata dal National Theater di Monaco. La locandina parla di ‘versione da
concerto ’. Sarebbe più esatto utilizzare il termine francese mise en
éspace. In effetti, anche se non c’è scena e i cantanti sono in abito da
sera, recitano nel boccascena (bellissima la travolgente danza finale della
protagonista, effettuata con mezzi essenziali). Segue la regia di Herbert
Wernicke, per anni in scena nel teatro bavarese, produzione che si è congedata
a metà luglio dato dal prossimo giugno verrà sostituita da un nuovo
allestimento curato da Keith Warner.
A Bucarest Elektra è stata presentata per un’unica
rappresentazione la sera del 13 settembre in quella che viene chiamata La Sala
Grande del Palazzo dei Congressi, edificio di palese architettura stalinista ma
la cui sale da concerto (due di dimensioni molto differenti), con qualche
adattamento, hanno una buona resa musicale. Essenziale per la complessa
partitura straussiana, dominata da dissonanze e costruita su una serie di
incontri-scontri tra due personaggi ed interventi polifonici dei comprimari. La
Sala Grande ha ben 4000 posti e non necessita di amplificazione ambientale.
Dopo due ore di estenuante tensione, il pubblico è esploso in un quarto d’ora
di ovazioni.
E’ quasi natura raffrontare la produzione con quella coprodotta,
oltre che dal Festival dove ha debuttato nel 2013, dalla Scala (dove si è vista
2013), dal Metropolitan di New York (in scena in queste settimane), dalla
Staatsoper di Berlino, dal Liceu di Barcellona e dall’Opera Nazionale di
Helsinki; già altri teatri ne hanno prenotato il noleggio. Ha segnato il
debutto del compianto Patrice Chéreau e di Esa-Pekka Salonen con il lavoro. In
quella produzione veniva ribaltata l’enfasi sul significato freudiano
dato di consueto all’opera (anche in quanto la sua prima ebbe luogo nel 1909,
agli inizi della psicoanalisi).
L’edizione bavarese vista e ascoltata a Bucarest mantiene invece
l’impianto freudiano. Sesbastian Weigle, sul podio, evidenzia come
sia l’azione sia la musica abbiano una struttura a ellisse; un’introduzione
quasi contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare al monologo di
Elettra, Elena Pankatrova) è inserita tra tre altri confronti, quelli tra
Elettra e Crisotemide, Anne Schwanewilms (rispettivamente sul significato della
vita e sul valore della vendetta) e quello tra Elektra e la propria madre
Clinnestra (Agnes Baltsa, a 71 anni ancora di grande livello, anche se con un
volume debole per una sala così grande). In tutta questa parte centrale si
sovrappongono due tonalità musicali molto differenti per unificarsi dalla scena
del ritorno di Oreste, René Pape, e predisporre il do maggiore della danza
macabra finale.
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