Lo scandalo Volkswagen e la figuraccia europea
23 - 09 - 2015Giuseppe Pennisi
Stropicciarsi le mani di fronte
all’imbarazzo che lo scandalo Volkswagen (VW) sta provocando all’intera
Germania indica poca conoscenza della storia economica (e della letteratura) e
un’ottica molto miope.
La storia economica della principale
potenza industriale del continente è costellata da scandali industriali. Ne
citiamo tre.
Il primo è la serie di “trucchi” e
“trucchetti” che, nello smisurato romanzo che fruttò a Thomas Mann il
Premio Nobel per la letteratura (Bunderbrooks Verfalle eine Famille), è
costellata in un lungo arco di decenni sia l’ascesa sia la decadenza dei
Bunderbrook.
Nella prima parte (il racconto
inizia verso il 1835), l’impresa familiare si espande perché i Buddenbrook
vedono la crescita della propria azienda con spirito sociale – quanto più
importante è l’industria , tanto più ne fruiscono i vari strati di Lubecca –
tuttavia per l’espansione dell’intrapresa, i Buddenbrook ricorre a prassi
scorrette edad un modo di aggirare la concorrenza che oggi sarebbe vietato (e
fondamentale lo era anche allora, pur se lo Stato, di fronte ai potenti,
lasciava correre).
Negli ultimi libri (il romanzo ne ha
undici nella versione originale), è proprio l’avvilupparsi di trucchi e
trucchetti industriali che porta alla decadenza della famiglia, all’orlo della
bancarotta. Nello stesso Terzo Reich (pur ammantato di morale pubblica) non
mancarono vicende tutt’altro che commendevoli: molte sono ricordare da Albert
Speer, architetto “di corte” e negli ultimi mesi della guerra ministro
della Produzione; di recente Germà Bel dell’Università di Barcellona ha
esaminato in dettaglio (in un paper ancora inedito) il malcostume che
contraddistinse la privatizzazioni tedesche degli Anni Trenta, privatizzazioni
volute fortemente da Hitler, che pur si dichiarava socialista per acquisire
benevolenze presso l’industria del Reich.
Più di recente, il “miracolo
economico” fu costellato da spionaggio industriale e intrallazzi; notissimo
l’ancora non risolto omicidio (verosimilmente nel quadro di una vicenda di
spionaggio industriale) della Fraulein Rosemarie oggetto anche di un
film, premiatissimo, di Rolf Thiele) nel miglior albergo di Francoforte.
Inoltre, nel 1990, l’industriale Juergen
Hippenstiel-Himhausen è stato condannato dal tribunale di Mannhein per
avere impiantato una fabbrica di armi chimiche in Libia.
Chi grida allo scandalo oggi
dovrebbe tenere conto di questo contesto: la Germania, definita come Italia e
Francia “Paese di tarda industrializzazione”, si è messa alla pari , ove non
all’avanguardia dell’industrializzazione, anche ricorrendo a mezzi quanto meno
“scorretti”.
A mio avviso, il vero scandalo
risiede altrove: nel fatto non tanto che i “controllori tedeschi” lo abbiamo
fatto passare (era prassi già ai tempi dell’ascesa dei Buddenbrook, quanto che
la tentacolare burocrazia europea o non se ne sia accorta (a ragione della sua
notoria insipienza) od abbia fatto lo gnorri (a ragione della sua notoria infingardaggine).
Il danno alla Germania e all’Europa
è sterminato: ai tempi dello scandalo Enron, il costo reputazionale venne
stimato in 16 volte la sanzione finanziaria. Soprattutto, come possiamo fare la
voce grossa nel negoziato per la Transatlantic Parternrship o nel G7? In quanto
UE, siamo tutti sputtanati.
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