L’asimmetria dei tassi che interessa
un’economia in fase di rallentamento
Oggi e domani, in un palazzone di Constitution Avenue a
Washington, il Consiglio della Federal Reserve si riunisce per decidere se dare
un piccolo segnale di incremento dei tassi cosiddetti 'direttori', quelli cioè
che incidono sulle diverse tipologie di saggi d’interesse. Dopo mesi di tassi
rasoterra si tratterebbe in ogni caso, al massimo, di un aumento dello 0,25%.
Perché allora tanta apprensione?
I tassi d’interesse sono 'asimmetrici': non solo influiscono
in modo differente (e a volte divergente) tra il Paese che li aumenta (o li
abbassa) e gli altri, ma hanno pure un certo grado di irreversibilità. Se si fa
uno sbaglio – amava dire tra una parolaccia e l’altra Harry Truman – è
difficile tornare indietro.
Seguendo i manuali di politica economica, gli Stati Uniti
oggi sarebbero il classico caso per una politica monetaria più restrittiva.
L’economia va a gonfie vele (un tasso di aumento del Pil del 3,7% nell’ultimo
trimestre) e la disoccupazione è appena al 5% delle forze di lavoro. Gli
impegni internazionali rendono infine ardua una riduzione del deficit del
bilancio federale (-2,6% del Pil). Un segnale di maggior rigore monetario
potrebbe impedire surriscaldamento, inflazione e un ulteriore deprezzamento del
dollaro (il cui cambio ha perso circa il 20% negli ultimi 12 mesi).
Tuttavia, il dato sulla disoccupazione va maneggiato con
cura: a ragione della recessione 2008-2011, solo il 63% degli americani
appartengono alla forza lavoro (ossia sono occupati o ricercano attivamente un
impiego). La ripresa economica potrebbe indurre molti scoraggiati a tornare sul
mercato del lavoro, con un aumento del tasso di disoccupazione. Anche un
atteggiamento neutrale in materia di cambio («siano forti e quindi ce ne
infischiamo») potrebbe avere conseguenze non desiderate: la Cina ha deprezzato
lo yuan e una guerra valutaria potrebbe essere alla porte.
La vera asimmetria riguarda dunque un’economia mondiale in
fase di rallentamento, specialmente perché i Brics (Brasile, Russia, India,
Cina, SudAfrica) considerati negli ultimi anni, da alcuni, il nuovo giovane
motore internazionale, non tirano più, mentre l’Eurozona continua il letargo
della Bella Addormentata. Russia e Cina, poi, sono in piena crisi.
Il Brasile si vanta di essere forte, ma emette obbligazioni
appena classificate 'spazzatura'. L’India ha i suoi guai ed il SudAfrica cresce
a meno del 2% l’anno. Se in questo quadro, arrivasse un segnale di aumento dei
tassi Usa (ed un invito a trasferire capitali oltre Atlantico perché rendono di
più), il resto del mondo soffrirebbe non poco. Specialmente l’eurozona dove si
intravede qualche tremula fiammella di ripresa.
Giuseppe Pennisi
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