JOHN ADAMS/ L’opera moderna americana arriva in Italia
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JOHN ADAMS/ L’opera
moderna americana arriva in Italia
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E’ decisione, al tempo stesso, coraggiosa e importante quella
del Teatro dell’Opera di Roma di mettere in scena all’inizio dell’autunno I
was looking at the ceiling and I saw the sky (“Stavo guardando al soffitto
e ho visto il Cielo”, frase detta da un terremotato a un telecronista), opera
di John Adams su libretto della poetessa afroamericana June Jordan. L’opera
moderna americana è quasi sconosciuta in Italia. Eppure è ricca di idee e
proposte. Nel 2009, anno più cupo della crisi finanziaria, ci furono nei teatri
americani (privati e con pochissime sovvenzioni pubbliche) circa quindici prime
mondiali. Il Teatro Regio di Torino, il Massimo di Palermo, il Teatro dell’Opera
di Roma ed i teatri di Reggio Emilia e Ferrara sono tra le rare istituzioni che
fanno conoscere questo repertorio.
Nei quindici anni che ho vissuto negli Stati Uniti, a Washington,
venivano presentate circa tre prime mondiali l’anno tra la Washington Opera al
Kennedy Center, lo Hartke Theatre della Catholic University ed il Lisner
Auditorium della Washington University. Teatri privati che vivevano di
biglietteria e sponsorizzazioni - interessate quindi a mettere in scena
spettacoli che attirassero pubblico ed interessassero quindi anche eventuali
sponsor.
Il resto d’Europa segue con attenzione quel rigoglio di idee che ha
l’opera americana. Ad esempio, in occasione del 250esimo anniversario dalla
nascita di Mozart mentre i teatri italiani aprivano le stagioni o
all’insegna del salisburghese oppure con titoli notissimi quali “Traviata”
e “Fidelio”, alcuni dei maggiori teatri stranieri le inauguravano con
“prime” mondiali o europee di autori contemporanei. A Londra l’English National
Opera (2800 posti) era in “prima mondiale” “The bitter tears of Petra
von Kant” (“Le lacrime amare di Petra von Kant”) del compositore irlandese
Gerald Barry. A Bruxelles, la stagione de La Monnaie è stata aperta da “Thyeste”
novità assoluta di Jan van Vljimen e a Strasburgo (nonché negli altri teatri
associati all’Opéra du Rhin nell’Est della Francia), da “Pan”, altra
novità assoluta, questa volta di Marc Monnet. A Berlino, addirittura due
novità, una “europea” e una “mondiale”, quasi in contemporanea: alla Deutsche
Opera, nei quartieri occidentali della città, la prima europea di “Sophie’s
Choice” (“La scelta di Sofia”) di Nicholas Maw (grande successo negli Usa)
e, a due chilometri di distanza, nei pressi della Porta di Brandeburgo, alla
Staatsoper under den Linden la “prima mondiale” di “Seven attempted escapes
from silence” (“Sette tentativi di fuga dal silenzio”), un libretto di
Jonathan Safran Foer messo in musica da sette giovani compositori di Paesi e
scuole musicali differenti.
Oltreoceano, poi, inaugurare con prime mondiali di autori
contemporanei è ormai prassi; al War Memorial Opera House di San Francisco
l’avvio è stato dato il primo ottobre con “Doctor Atomic” di John
Adams, una ricostruzione di Hiroshima e Nagasaki del Manhattan Project che
portò alla prima bomba atomica e del travaglio che comportò per gli scienziati
in essi coinvolti. L’elenco potrebbe continuare: un catalogo di spettacoli , a
volte molto buoni, che in Italia, dove il teatro in musica è nato oltre 400
anni fa, non si vedranno mai.
Come spiegare il fenomeno? In primo luogo, specialmente nel mondo
anglosassone, ci sono due filoni ben distinti: uno di teatro in musica tratto
da drammi, romanzi o anche film di successo (alla stregua della “literaturoper”
a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento). Il primo è
rivolto al grande pubblico: vicende note, musica accattivante, spesso
diatonica, enfasi sul ritmo. Attenzione, non si è alle prese con dei musical
alla Broadway ma con opere liriche vere e proprie (che seguono tutte le convenzioni
dell’opera lirica: grande organico orchestrale, arie, duetti, concertati, voci
assolutamente non microfonate e nella tassonomia abituale (soprano, mezzo,
contralto, tenore, baritone, basso, con la riapparizione dei controtenori di
epoca barocca). In Italia se ne è avuto un assaggio con “A Streetcar Named
Desire” di André Previn (dal dramma di Tennessee Williams) messo in scena
circa tredici anni fa al Teatro Regio di Torino, nonché con “The
Death of Kingloffer” di John Adams (sulla vicenda dell’Achille Lauro)
allestito a Ferrara ed a Reggio Emilia.
L’altro filone è più chiaramente sperimentale.
Un esempio è “Seven attempted escapes from silente”, prodotto
dell’ingegno di un enfant prodige Jonathan Safran Foer (allora aveva 27 anni) i
cui due primi romanzi – “Ogni cosa è illuminata” e “Molto forte,
incredibilmente vicino” sono stati in testa ai best seller americani sin
dalla seconda metà degli anni Novanta (quando l’autore era adolescente); in
traduzione hanno buon esito anche in Italia. L'ho ascoltato alla sala Magazine
della Staatoper under den Linden, dove ha enorme successo di pubblico
specialmente di giovani. Non c’è vicenda ma sette quadri in cui l’”autorità”
(il carceriere, il medico, il burocrate, la spia) impedisce tentativi di fuga
(di prigionieri, malati, impiegati, delatori) “dal silenzio” (ossia da una
condizione kafkiana in cui non si comunica). Ciascun quadro ha un compositore e
un regista differente (tra i secondi nomi di rango come Peter Mussbach, i
compositori Karim Haddad, Bernhard Lang, Cathy Milliken, José-Maria
Sanchez-Verdù, Annette Schmuck, Miroslav Srnka, Larisa Vrunch) tutti attorno ai
30 anni. Seguono sintassi orchestrali e vocali molto differenti: dalla
dodecafonia rarefatta del primo (una sola battuta di 150 note con quattro
consecutive riproposizioni frammentate) al ritmo ai confini con il jazz e con
la musica afrocubana del settimo passando per un duetto “di coloratura” del
quinto, per una struttura “ad arco” di quello centrale (il quarto), per
eleganti accenti timbrici nel terzo, per il melologo nel secondo ed il
concertati nel sesto. Ma lo spettacolo ha una sua integrità ed affascina per
oltre due ore senza intervallo. Nel mondo anglosassone, i due filoni – quello
tradizionalista e quello innovatore – hanno pubblici distinti ma che, grazie ad
una buona cultura musicale di base ed ad una politica attenta, talvolta
arrivano a confluire.
Cosa frena i nostri sovrintendenti? La scarsa cultura musicale e la
mancanza di una vera politica musicale. Nel saggio “L’orchestra del
Duce” (Utet, 2003), Stefano Biguzzi lamenta che l’interesse dei
Governi per una politica della musica e della cultura musicale (e per trovare
un equilibrio tra tradizione e sperimentazione) è quello dell’epoca fascista:
il primo festival internazionale di musica contemporanea fu quello iniziato a
Venezia nella seconda metà degli Anni Trenta – e Igor Stravinskij, che mantenne
corrispondenza privata con Mussolini sino al 1942 - chiese di essere sepolto
nel cimitero della città lagunare (dove in effetti sono le sue spoglie).
Quando ero adolescente i teatri seguivano ancora la prassi di
commissionare un’opera contemporanea l’anno. Così venni affascinato dai lavori
di Hans Werner Henze, compositore tedesco, che ha sempre vissuto nei pressi di
Roma ed il cui Teatro dell’Opera inaugurerà la stagione il 27 novembre con il
capolavoro The Bassarids (tratto da Le
Baccanti di Euripide con la regia di Mario Martone.
Ma veniamo a
I was looking at the ceiling and I saw the sky. A
differenza di altre opere di Adams imperniate su eventi storici è una parabola
contemporanea. In un quartiere povero di Los Angeles, le vite di sette giovani
personaggi si intrecciano quando Dewain, ex capobanda, viene arrestato da un
poliziotto (Mike) per aver rubato due bottiglie di birra. Dewain stava andando
verso casa per incontrare la fidanzata Consuelo, una rifugiata politica
salvadoregna senza documenti, che è anche la madre di suo figlio. In caso di
condanna, Dewain dovrà scontare una dura pena, essendo questa la terza volta
che infrange la legge. L'arresto di Dewain da parte di Mike viene
registrato su una videocamera di sicurezza e trasmesso in un programma di una
tv locale condotto da una presentatrice di nome Tiffany. Lei è attratta da
Mike, ma il suo interesse non è ricambiato. Nel frattempo, David, un
carismatico predicatore locale, ha una storia d’amore con Leila, un attivista
della comunità. Rick, il difensore d’ufficio assegnato al caso di Dewain,
fa un accorato appello in tribunale per il rilascio Dewain. Un terremoto
colpisce la città e la crisi provoca delle riflessioni tra i vari
personaggi. David si rende conto che è veramente innamorato di Leila; Mike
ammette di essere gay; Tiffany rivolge la sua attenzione verso Rick, che rimane
da lei affascinato durante il processo; e Consuelo cerca di convincere Dewain a
scappare con lei in El Salvador, ma lui decide di rimanere. Quindi un apologo
su giovani per giovani.
Su un libretto della poetessa June Jordan, la musica di John
Adams amalgama su una sobria base minimalista blues, hot jazz, cool jazz
, musica ispanica e hard rock. E’ una fusione di stili che regge bene e
ha atmosfere affascinanti. Si differenzia da altri lavori di Adams per il teatro
come Nixon in China, The Death of KlinghofferoDr.
Atomic. Non è una versione moderna di un Singspiel poiché
non ci sono dialoghi ma song anche a più voci. Nella regia
di Giorgio Barberio Corsetti, in una scena unica, audio e luci cambiano le
tinte a seconda dei numeri musicali. L’orchestra (di solo sette elementi) è
diretta da Alexander Briger. E’ un lavoro (Adams lo chiama song opera)
di giovani per giovani.
Di grande successo nel Nord America, accolta con qualche contrasto
a Parigi, è stata salutata con applausi in una Roma settembrina in cui alcuni
abbonati hanno preferito restare al mare o in campagna. Merita di essere
vista in altre città perché è un modo efficace per indurre i giovani al
teatro in musica.
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