Volkswagen, lo scaricabarile non salva la Commissione europea
01 - 10 - 2015Giuseppe Pennisi
Lo scaricabarile in corso in questi
giorni tra la Commissione Europea e gli Stati membri rafforza la posizione del
Presidente del Consiglio Renzi secondo cui quanto meno la Commissione si
intromette in materie di pertinenza dei singoli Stati membri tanto meglio è. Si
minimizzano i danni dei suoi interventi.
Appare stucchevole la posizione di
un portavoce della Commissione secondo cui l’applicazione delle misure
anti-inquinamento sarebbe di stretta competenza dei 28 Stati membri; ergo anche
se la Commissione era a conoscenza dei difetti nei sistemi di emissione di
alcuni tipi di autoveicoli VW (e non solo) , non era affar suo
cercare un rimedio. Ed allora a che serve il programma Europa
2020 per una crescita sostenibile di cui per anni si è gloriato
l’Esecutivo di Bruxelles?
Il nodo sta diventando sempre più
imbarazzante non solamente per la VW (ed altre case) ma per la
Commissione. In Formiche del 28 settembre si è riferito di
come il Joint Research Center , un’agenzia che dipende dalla Commissione,
avesse documentato le manipolazioni sin dal 2013 e che più o meno da allora
Bruxelles avesse intavolato negoziati con i 28 Stati membri. Negoziati,
ovviamente, molto riservati. Ora si viene a sapere che nel lontano 1998, un
ricercatore svedese, Per Kageson, avesse pubblicato uno studio dettagliato su
come si possono manipolare i test relative alle emissioni . Lo studio venne,
all’epoca, discusso in vari seminari di ricerca e portato all’attenzione delle
autorità comunitarie, le quali avrebbero detto che si trattava di materia
troppo tecnica per loro. Quindi, la materia venne accantonata sino a quando nel
2013 esplose il lavoro del Joint Research Center con un prefazione o Executive
Summary in un lessico comprensibile anche ai liceali.Non sono mancate
interrogazioni di parlamentari europei, a cui la Commissione si è
spesso trincerata dietro l’ ‘eccessivo tecnicismo’ del lessico.
A difesa dei funzionari della
Commissione si deve ammettere che il loro sistema di reclutamento, concorsi,
selezione e carriera non favorisce i contenuti tecnici; modellata
sull’amministrazione francese, la burocrazia della Commissione dispone di
funzionari generalisti addestrati nella procedure e prassi dell’istituzione per
cui lavorano ma non nelle materie professionali che dovrebbero essere l’essenza
del loro lavoro. Le loro carriere dipendono in gran misura da quote nazionali
(tanti dirigenti a seconda del peso del Paese di provenienza) Per
alleviare a questo problema per decenni negli uffici della Commissione venivano
‘comandati’ o ‘distaccati’ dei settori specifici. Tali
‘esperti’ provenivano dalle stesse aziende che la Commissione avrebbe dovuto
vigilare e venivano retribuiti dalle imprese medesime. Sovente nella stessa
stanza c’erano sette od otto ‘esperti’ con regimi (e compensi) differenti.
L’esito: un labirinto di lobby ; non
solo quelle ‘esterne’ che esercitavano la loro influenza tramite gli Stati membri,
ma anche quelle “interne” che lavorano nel cuore stesso della Commissione. Una
serie di scandali (nessuno con dimensioni analoghe a quello VW) ha fatto
si che si cercasse di circoscrivere il problema.
Lo scaricabarile in atto in questi
giorni mette ancora più in luce le debolezze della Commissione. Ha urgente
bisogno di un bagno di umiltà e di restringere la propria azione alle poche
cose in cui ha competenza non solo giuridica (in base ai compiti affidategli
dai trattati europei) ma anche tecnico-professionale. Ha anche bisogno di una
cura dimagrante.