giovedì 25 agosto 2011

L’euro? Rischia di fare la fine della sterlina in Avvenire 25 agosto

l’analisi L’euro? Rischia di fare la fine della sterlina


DI GIUSEPPE PENNISI

L a crisi del debito dell’Euro¬zona e le manovre di finanza pubblica messe in atto per tamponarla si dice abbiano pun¬ti in comune con la situazione del¬l’estate- autunno del 1992. Al¬lora, l’unione monetaria euro¬pea era in prospettiva, ma i mercati non avevano fiducia nel fatto che alcuni potenzia¬li Stati membri (Italia in prima linea) ce l’avrebbero fatta.

Anche se ci sono analogie con la crisi del 1992, il parallelo più calzante è quello con la fase che precedette la fine dell’area della sterlina dopo la svalutazione della moneta di Sua Maestà bri¬tannica, il 18 novembre 1967. In quel caso non ci fu un tracollo, con azzeramento dei pertinen¬ti accordi, ma uno smottamen¬to progressivo sino alla fine del 1972.

Il contesto internazionale era ben diverso dall’attuale. Nata al¬l’inizio della seconda guerra mondiale (la sterlina aveva perso dopo la pri¬ma guerra mondiale lo status di principale valuta per gli scambi internazionali), la «zo¬na della sterlina» consisteva in una serie di accordi diretti a definire un sistema unifor¬me di controlli valutari (verso il resto del mondo) e di assicurare al proprio interno l’utilizzazione della sterlina come moneta dei vari Paesi ad essa aderenti, oppure cam¬bi fissi tra monete nazio¬nali (da utilizzarsi all’in¬terno di ciascun Paese) e la sterlina. Circa 80 Paesi tra grandi – come Canada e Australia – e piccoli – ad esempio le Seychelles – ne fecero parte al mo¬mento del suo maggior fulgore in base a nor¬mative uniformi. Le compensazioni dei sal¬di delle bilance dei pagamenti diventarono compito della Bank of England, dove le ster¬ling balances venivano depositate.

La Gran Bretagna uscì dalla seconda guerra mondiale con uno stock di debito pari al 250% circa del Pil; ne seguì nel 1949 una sva¬lutazione del 30% circa del cambio della ster¬lina nei confronti del dollaro, concertata con il resto della zona, utilizzando anche i buo¬ni uffici del Fondo monetario. Il quadro cambiò negli Anni Sessanta: non tanto perché i vari Paesi prendevano strade differenti (pure in ragione dei diversissimi livelli di sviluppo), ma in quanto le politiche interne britanniche (i laburisti guidavano la macchina) comportavano crescenti disa¬vanzi della bilancia dei pagamenti in una fa¬se di trasformazione del mercato interna¬zionale (sorgeva l’euro¬dollaro). Da un lato, Lon¬dra diventò il principale cliente del Fondo mone¬tario. Dall’altro – ricorda un acuto saggio di Ben Clift – dal confronto con¬tinuo ed intenso con i go¬verni laburisti, il Fondo (nato keynesiano) diventò neo-liberale. Dato che le risorse or¬dinarie del Fmi non sembravano adeguate a soddisfare l’esigenza di parare il disavan¬zo britannico e assicurare liquidità per la cre-scita mondiale, nel settembre 1967 l’assem¬blea del Fondo monetario internazionale ap¬provò la modifica degli statuti per varare i «diritti speciali di prelievo», i DPS, le cui pri¬me emissioni avvennero nel 1969.

Il 18 novembre 1967 (ero studente negli U¬sa) il professor Randall Hinshaw (ex Sotto¬segretario al Tesoro Usa oltre che noto teo¬rico di economica monetaria), non ar¬rivò a lezione con la solita puntualità e aspetto apollineo, ma trafelato.

Non esistevano telefonini. Aveva appena ricevuto una telefonata dalla moglie e ci disse agitatis¬simo: «They finally did it! (alla fine lo hanno fatto!, ndr ) »: la Gran Bretagna aveva svaluta¬to del 14% la sterlina senza consultarsi con il resto della zona. Chi aveva saldi attivi presso la Bank of England pre¬se una bella botta. Iniziò lo smottamento.

I paralleli sono molteplici: la na¬scita di mercati e strumenti non regolamentati (l’eurodollaro); i D¬PS non dissimili dagli «eurobond» di cui si parla oggi; i tentativi di tam¬ponare falle (senza cambiare politiche economiche); il pericolo di smotta¬mento per rivalutazione o svalutazione non concordata di alcuni soci. Per questo è urgente definire un percorso che eviti che la situazione si ripeta.

La situazione attuale è simile a quella che portò alla fine dell’area della moneta britannica, nel 1972

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