FEDE , LA CARNE E IL DIAVOLO I LEIMOTIVE DI SALISBURGO
Beckmesser
Salisburgo. Questa bella città austriaca vive di festival. Oltre a quello estivo (cinque settimane , 200 rappresentazioni in cinque teatri e tre sale da concerto, iniziando alle 11 ogni mattina), a quello di Pasqua ed a quello di Pentecoste, c’è il Festival “Delirium” organizzato da Gustav Kuhn e dalla casa discografica Col-Legno la settimana prima di Natale, quello mozartiano dal 27 gennaio e fine febbraio gestito dal Mozarteum, quello di musica barocca e via discorrendo. In breve, ci dicono al ministero del Turismo del Land, in media, un festival al mese tra grandi e piccoli. La prossimità con il mondo tedesco (oltre 100 milioni di cui molti hanno studiato musica a scuola) assicura affluenza di spettatori: quest’anno per il Festival estivo sono arrivate richieste per 850.000 biglietti a fronte di circa 400.000 disponibili. L’arte paga; con la musica – questa ne è un’altra prova – si mangia (nonostante ciò che dicano alcuni politici italiani). I Festival di Salisburgo ricevono sovvenzioni dal Governo federale austriaco, da quello del Land e dal Comune, nonché hanno una rosa di sponsor che include il Gotha della finanza e dell’industria europea. Tuttavia, gli sponsor non fanno beneficienza a vuoto, E studi dell’Università di Zurigo (distinta e distante dalla città annidata tra le Alpi austriache) suggeriscono che l’indotto è pari almeno a 6-8 volte i costi diretti.
“La Fede e il Diavolo” è il tema di fondo del Festival estivo di Salisburgo (27 luglio-27 agosto). Lo si avverte nella sezione teatrale (oltre al dramma sacro “Ognuno” di Hofmannsthal, l’edizione integrale – 8 ore di spettacolo- del “Faust” di Goethe e tragedie shakespeariane attinenti all’argomento), in quella concertistica (da grandi “Requiem” ai tormenti mahleriani), a quella operistica (dove la trilogia Da Ponte.Mozart in chiave di “black comedy” è attorniata da drammi in musica, da “Iolanta” di Tchaikowski a “Macbeth” di Verdi, al “Caso Makropoulos” di Janáček ed a “La Donna senz’Ombra” di Strauss e che hanno una forte carica metafisica).
La Fede vince sempre ma nelle battaglie con il Diavolo, lo zolfo è mischiato con il sudore della carne (e del sesso). Vedremo , in un altro servizio da Salisburgo, gli aspetti specifici del “festival nel festival” dedicato alla contemporaneità. Soffermiamoci sull’opera e sui due lavori raramente rappresentati nel nostro Paese e che, per coincidenza, saranno tra non molto rispettivamente a Firenze ed a Milano. il “Caso Makropoulos” di Janáček e la “La Donna senz’Ombra” di Strauss.
Dal primo si ricorda un’edizione curata da Ronconi (regia) e Bartoletti (direzione musicale) a Torino e Bologna nel 1991 che approdò anche a Napoli nel 1999: venne presentata in versione ritmica italiana nell’illusione che facendo cantare in italiano si comprendesse l’intricato testo (un vero e proprio “thriller” giudiziario), perdendo, però, l’accurato lavoro (in moldavo) di sincretismo tra parola e musica. L’esito fu negativo: il testo era incomprensibile (nonostante si fosse lavorato molto alla traduzione ritmica e si perdeva il fascino della scrittura orchestrale e vocale. A Salisburgo, Esa-Pekka Salonen rinnova il magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo pagano di Richard Strauss, con influenze di Debussy (del quale Janacek conosceva bene sia “La Mer” sia “Pelléas” ) sull’orchestrazione. Massimo Mila ha parlato di “un ininterrotto mormorio”, inafferrabile e inclassificabile, nutrito di ingredienti anche diversi da quelli del sinfonismo di Strauss, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro da “Ravel campagnolo”. Ancora più interessante la scrittura vocale in cui note e parole si plasmano a vicenda le une sulle altre sino all’immenso arioso finale. Un equilibrio che si può afferrare, con l’ausilio dei sovrattitoli, Ha un cast d’eccezione guidato da Angela Denoke, il soprano che oggi meglio più affrontare il ruolo impervio della protagonista. L’allestimento di Salisburgo, coprodotto con il Teatro Nazionale di Varsavia (ma si vedrà anche e Vienna e forse alla Scala) è curato, per la parte drammaturgica da Christoph Marthaler, :una scena unica in cui i tre atti (100 minuti circa) si dipanano senza intervanno: un’immensa aula di tribunale dove nel primo atto si svolge il processo sulla vertenza ereditaria e nel terzo l’interrogatorio della protagonista da parte di tutti gli altri . E’ la Fede? Dopo avere vissuto 337 anni restando sempre bella e giovane, grazie ad un elisir che assicura almeno tre secoli di vita, la protagonista (che ha avuto tanti uomini; uno anche in scena all’inizio del terzo atto) decide di non riprendere la pozione perché la vita è bella se ha un termine,
“La Donna senz’ombra” è opera che può mandare in dissesto un teatro poiché richiede 24 solisti, un organico orchestrale e corale immenso ed “effetti speciali” scenici di ogni sorta. In Italia, si ricorda un allestimento stilizzato di Jean Pierre Ponelle (Scala e Firenze) cerca 25 anni fa ed uno a Firenze nel 2010 (che venne messo in scena solo due volte a ragione di scioperi nel settore). Il secondo, curato da Yannis Kokkos, seguiva il libretto al dettaglio e viene considerato una delle determinanti della recente crisi finanziaria del Maggio Musicale. La regia di Christof Loy scansa queste difficoltà con una lettura tutt’altro che tradizionale del testo. Siamo in un sala di registrazione (la Sophiesaal di Vienna) dove Karl Bhoem concertò, con un cast di favola, la prima registrazione davvero professionale dell’opera. I cantanti arrivano con lo spartito in mano; ci sono i leggii, la cabina di regia. Man mano che il lavoro avanza si trasformano nei personaggi che interpretano sino al grandioso trionfo della vita e della famiglia, che alcuni hanno trovato non di buon gusto ma che è necessario a suggellare il messaggio del lavoro.. La recitazione è perfetta, come per un dramma in prosa di qualità. L’opera è rappresenta senza alcun taglio, ma lo spettacolo scorre per circa 4 ore mezzo rapidamente e senza momenti di stanchezza. La vicenda riguarda il percorso iniziatico di due coppie (una imperiale ed una popolare) per essere fertili e dare, quindi, continuità all’umanità (l’opera veniva scritta e composta negli anni della prima guerra mondiale); quindi la carne non manca anche se l’obiettivo si coniuga con quelli del “movimento per la vita”. Christian Thielemann e Wiener Philarmoniker sono stati abilissimi nel trovare i giusti equilibri e gli impasti appropriati. Sono stati, meritatamente, applauditissimi dal pubblico di un teatro stracolmo.
Concerta Tra le cinque voci dei protagonisti, spicca Evelyn Herlitzius affrontato stupendamente l’impervio ruolo, con sontuosi acuti da soprano drammatico ed un volume che ha riempito l’enorme teatro (2800 posti)..
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