lunedì 8 agosto 2011

CON LE OPERE DI ROSSINI “SI MANGIA” Il Riformista 9 agosto


GRANDE SUCCESSO PER IL FESTIVAL DI PESARO
COSI’ CON LE OPERE DI ROSSINI “SI MANGIA”
Beckmesser

Non c’è aria di crisi a Pesaro dove dal 10 al 23 agosto si tiene la trentaduesima edizione del Rossini Opera Festival (Rof), l’unica festival musicale monografico italiano tale da essere diventato (come quelli di Bayreuth, Salisburgo e Glyndbourne) un magnete di attrazione economica e commerciale per l’area. Tentativi analoghi sono stati effettuati a Parma (con il Festival Verdi) ed a Viareggio-Torre del Lago (con il Festival Puccini) ma – come vedremo in servizi de “Il Riformista” nel prossimo futuro- gli esiti sono stati molto inferiori alle attese.
“Il Sole-24 Ore” del 26 luglio ha appena pubblicato un supplemento speciale sulle Marche in cui si dimostra come il tessuto economica stia reagendo positivamente alla crisi internazionale. In che misura, il Rof è un elemento importante per questo risultato? La prima risposta è fornita da tre economisti tedeschi (quindi distinti e distanti dalle nostre beghe di cortile) in un saggio pubblicato di recente (Falck O., Fritsch M., Heblich St. “The Phantom of the Opera: Cultural Amenities, HumanCapital and Regional Economic Growth”, IZA DP No. 5065, 2010) .Lo studio analizza la localizzazione di 29 teatri d’opera barocchi in luoghi che ancora oggi godono di un benessere economico relativamente elevato. L’analisi affronta quello che potrebbe essere chiamato “il problema dell’uovo e della gallina”:la decisione di costruire un teatro è il risultato della crescita economica oppure il fatto di disporre di un teatro ha attirato capitale umano, ha teso reti di capitale sociale e ha,quindi, stimolato lo sviluppo. Seguendo un metodo statistico innovativo, i tre economisti concludono che il teatro è stato il magnete che ha attratto altre risorse, specialmente quelle immateriali che hanno innescato un processo di sviluppo sostenibile. Quando, anche grazie all’eredità del compositore, venne costruito il Teatro Rossini , Pesaro era poco più di un leopardiano “natio borgo selvaggio”. Quando 32 anni fa per intuizione di Gianandrea Gavazzeni e di pochi altri, venne lanciato il Festival, l’area aveva un tessuto di piccole e medie industrie creato da capomastri diventati imprenditori. Oggi è uno dei centri italiani per la tecnologia e l’alta moda.

In secondo luogo, uno studio (ormai datato) dell’Università di Bologna conclude che con una spesa (tra contributi pubblici e apporto di sponsor privati) di 6 milioni di euro si attivano 24 milioni di euro di ricavi, tenendo conto dell’indotto. Anche ove i ricercatori dell’ateneo felsineo avessero esagerato del 100 per cento i ricavi, con 6 milioni di euro se ne porterebbero a casa almeno 12- un’operazione di fare invidia a finanzieri solidi e prudenti come Warren Buffet. E’ urgente che il lavoro venga aggiornato
In terzo luogo, un’analisi del Ravenna Festival pubblicata sul quadrimestrale “Territori di Cultura”, edito dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali, giunge a conclusioni analoghe per e sottolinea che l’apporto del Rof è probabilmente maggiore di quello della manifestazione romagnola a ragione della maggiore componente internazionale.
Nell’arco di tre decenni, grazie a Rossini, Pesaro è diventata la Bayreuth o la Salisburgo italiana: Le richieste di biglietti eccedono del 25-30 per cento i posti disponibili , tanto che si sta pensando di costruire (come a Bayreuth) liste d’attesa pluriennali- anche se la normativa e la prassi italiana richiedono di vendere un certo numero di posti di loggione il giorno della recita. Il Rof ha un pubblico fidelizzato (il 70 per cento ò straniero, il 30 percento italiano, i marchigiani appena il dieci per cento del totale). Molto presente la stampa straniera: si è dpvuto rifiutato a malincuore l’accredito ad alcune grandi testate giapponesi che lo avevano chiesto “tardi”, ossia a fine primavera.
Anche se in Consiglio comunale ed in Regione ci sono ogni tanto mormorii contro i contributi al Festival, i marchigiani ne sono i maggiori beneficiari.. Non solamente occorre prenotare alberghi con un anno d’anticipo (senza avere la certezza di acquistare i biglietti) ed i ristoranti sono strapieni, ma l’alta moda, le cucine ed i mobili eleganti ed il lusso in generale sono diventati un abbinamento al Festival. Uno dei maggiori negozi d’abbigliamento della città (con l’esclusiva per le maggiori marche europee) ha dovuto aprire un’alta speciale per le melomani che dal Marrinsly di San Pietroburgo, dal Bolshoi di Mosca e dal Bunka Kaikan o dal New Theatre di Tokio si trasferiscono, con i portafogli pieni di libretti di assegni e carte di credito, a Pesaro per le due settimane del Festival. Alcuni compiono un vero e proprio tour che inizia allo Sferisterio di Macerata, prosegue a Pesaro (la tappa dove più si compra) e dopo una sosta a Verona arriva a Salisburgo. Attenzione, data la richiesta: i tour operator praticano spesso un mark up del 30 per cento circa sui prezzi di hotel e di biglietti.
Quest’anno, il Festival presenta una novità assoluta: “Adelaide di Borgogna”, mai rappresentata in tempi moderni, accanto ad un nuovo allestimento di “Mosé in Egitto”, una ripresa di “La Scala di Seta”, la versione critica di “Il Barbiere di Siviglia” e molti concerti. Ne riparleremo. Un dato è certo: dai manifesti del Festival, Rossini, sornione, dimostra che con la cultura si mangia.

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