lunedì 1 agosto 2011

L’allarme lanciato nel 2004 «Così uccidete le tv locali» in Avvenire 2 agosto

Lo studio avvertì il ministero: «Per sopravvivere le reti minori devono diventare anche fornitori di servizi interattivi territoriali»


DI GIUSEPPE PENNISI
L’allarme lanciato nel 2004 «Così uccidete le tv locali»

Gli esperti dissero anche come salvarle ma non li ascoltarono


S in dal 2004 si sapeva che il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale terrestre avrebbe accresciuto il benessere nazionale nel suo complesso ma, nella transizione, avrebbe lasciato morti e feriti sul campo. E che sarebbero state le aziende più piccole del settore (non solo le stazioni televisive ma anche i fornitori di contenuti) ad avere i danni maggiori. Lo affermava a tutto tondo uno studio commissionato, per conto dell’allora Ministero delle Comunicazioni, dalla Fondazione Ugo Bordoni (Fub).

Lo studio venne guidato da me e da Pasquale Lucio Scandizzo (Università di Tor Vergata) e condotto da una squadra di economisti ed ingegneri provenienti sia dalla Fub sia dalle Università. La relazione completa è ovviamente di proprietà della Fub e del dicastero ma un’ampia sintesi del lavoro è stata pubblica col titolo La valutazione della transizione da televisione analogica a digitale terrestre (Dvb-T): lezioni dall’esperienza

in un volume a più voci ( Valutazione in Azione :lezioni apprese da casi concreti,

Milano, F. Angeli 2006). I risultati dello studio hanno, quanto meno, indotto le autorità sia italiane sia europee a posporre la data dello switch-off dal 31 dicembre 2006 (come definita da una legge del 2001) al 31 dicembre 2012 al fine di effettuare approfondimenti e di individuare rimedi per rendere il Dvb-T 'sostenibile' per tutti.

Per individuare i rimedi è utile riassumere le conclusioni dello studio, che ha comportato due anni di lavoro e pure la costruzione di una matrice aggiornata delle relazioni tecniche e finanziarie nei comparti dell’editoria e dell’alta tecnologia (i dati Istat sono fermi al 1994). In breve, impiegando la tecnica delle «valutazioni contingenti» per stimare costi e benefici alla collettività di un bene o servizio «intangibile» (quali quelli dell’audiovisivo), per il Dvb-T si è stimato un tasso di rendimento interno ( Tir) elevato (attorno al 25%) e statisticamente robusto. Ad un primo esame sembrava buono anche il rendimento finanziario all’intera filiera industriale (non erano disponibili dati per singoli comparti): un Tir del 12%. Analisi più accurate mostravano, però, che il risultato era destramente fragile: ad una riduzione del numero di contatti a pagamento (per servizi interattivi) oppure ad un leggero aumento dei costi, i guadagni sarebbero diventati perdite nette per l’intera filiera; se ne deduceva che i rischi sarebbero stati specialmente forti per le aziende più piccoli. La raccomandazione di posporre lo switch-off, accettata, su proposta dell’Italia, anche in sede europea, era accompagnata da alcune proposte specifiche in materia di regolazione (politiche di pricing,

nonché altre forme di incentivi e disincentivi), aste delle frequenze seguendo il metodo definito dal Premio Nobel William Vickrey (al fine da massimizzare il gettito per l’erario e minimizzare che venissero implicitamente favoriti i 'big'), un programma aggressivo di digitalizzazione della pubblica amministrazione , soprattutto a livello dei Comuni e del servizio sanitario nazionale (Ssn), al fine di potenziare il digitale terrestre con servizi interattivi alle imprese, alle famiglie ed alle imprese (tutte tipologie di servizi che le televisioni piccole e con un chiaro ambito territoriale sono meglio disposte ed attrezzate rispetto alle grandi emittenti). Di queste raccomandazione unicamente quella relativa al posticipo dello switch-off è stata accettata. La regolamentazione è formalmente ineccepibile poiché approvata da tutte le autorità competenti. Nonostante nel novembre 2004, il Congresso dell’Anci a Genova avesse tra i suoi temi portanti la digitalizzazione dei comuni nelle prospettive del Dvb-T, i risultati effettivi sono ben inferiori alle aspettative (e si è perso un bacino d’utenza privilegiato per i 'piccoli'). Di aste «alla Vickrey» neanche a parlarne; per l’assegnazione di gran parte delle frequenze si è proceduto con il metodo chiamato nella professione del beauty contest (

«concorso di bellezza»), ossia definiti alcuni parametri di qualità del servizio («la bellezza») attribuire le frequenze a chi più ci si avvicinava – una procedura che, in buona o cattiva fede, avrebbe favorito chi è già più grande e più ramificato. Si è lasciato un contentino: per le poche frequenze ancora da attribuire, si preferiscono, entro certo limiti, i «nuovi entranti».

Occorre dire, però, che anche i 'piccoli' non si sono difesi beni: in tutto il mondo il Dvb-T comporta un processo darwiniano se non ci si aggrega perché ad una frequenza corrisponde una pluralità di canali (da qui il termine multiplex digitale) che nessuna piccola televisione o nessun piccolo fornitore di contenuti è in grado di fare funzionare.

Adesso per rimediare occorre rivedere la regolazione e rimettere sulla via giusta la concessione delle licenze (revocandone se del caso a chi ne ha troppe e non sa neanche utilizzarle saggiamente). I 'piccoli' devono creare aggregazioni operative. Perché il progresso tecnologico comporta cambiamenti ma non si può introdurli solo a vantaggio dei più forti e a svantaggio dei più deboli. Soprattutto se questo significa spegnere di fatto delle voci importanti per il Paese.

Ci avevano promesso che col telecomando avremmo avuto i servizi anagrafici comunali in casa e fatto persino la spesa, ma è sparito tutto

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