CLT - Palermo, 2 mag (Il Velino) - Ancora una volta, il Teatro Massimo di Palermo sorprende: da pozzo senza fondo, come era diventato notorio negli anni Novanta, adesso ha i conti in regola e dopo la prima mondiale di “Senso” di Marco Tutino fa conoscere al pubblico italiano e internazionale “La Passione Greca”di Bohuslav Martin con dieci repliche (fino all’8 maggio), di cui quattro dedicate al pubblico giovane ed alle scuole. Si tratta della prima edizione che debuttò al Festival di Bregenz nel 1959 e di cui non è facile reperire un disco in commercio (la seconda debuttò a Zurigo nel 1961, pochi mesi dopo la morte del compositore, anche autore del libretto). È un’opera la cui messa in scena richiede 20 solisti, un doppio coro e un’orchestra numerosa. Il Lirico di Cagliari tentò, circa cinque anni fa, di presentarla per inaugurare una stagione ma dovette desistere. Il Massimo c’è l’ha fatta, con un debutto che, a testimonianza del suo interesse internazionale, ha fatto registrare la presenza di una trentina di testate straniere in sala. L’allestimento scenico e drammatico (regia di Damiano Michieletto, scene di Paolo Fantin, i costumi di Silvia Aymonino), la bacchetta di Asher Fisch edun cast di giovani interpreti (Sergey Nayda, Judith Howarth, Jan Vacik, Luiz-Ottavio Faria e Mark S. Doss), rendono lo spettacolo un candidato naturale al Premio Abbiati 2012, relativo alla lirica rappresentata in Italia nel 2011.
“The Greek Passion” (questo è il titolo originale del lavoro il cui libretto in inglese è stato concepito per un pubblico internazionale) è un’opera importante non solo per il proprio valore intrinseco ma anche e soprattutto perché ha inciso sul teatro in musica americano (il boemo Bohuslav Martin ha vagato fra Italia, Francia e Svizzera prima di diventare naturalizzato Usa). Ha influito specialmente sul filone di maggior successo (Pastieri, Bolcom, Argento) che accetta molto poco dello sperimentalismo, della dodecafonia e del minimalismo e integra la grande musica tonale con temi etnici, la musica popolare e religiosa e lo stesso jazz. È un lavoro che si ascolta con piacere. In cui il coro è il principale protagonista e a una raffinata scrittura orchestrale (importante il contrappunto) corrispondono ariosi, duetti e concertati nella parte più spiccatamente vocale.
L’opera si basa sul romanzo “Cristo di Nuovo in Croce” di Nikos Kazantzakis, autore anche di “Zorba il Greco”. Prima di diventare un’opera, il romanzo di Kazantzakis ha ispirato uno dei più noti film di Jules Dassin, premiato a Cannes e uscito in Italia con il titolo “Colui che deve morire”. Con un cast di livello (Melina Mercouri, Maurice Ronet, Jean Servais, Roger Hanin, Pierre Vaneck, René Lefevre), ebbe notevole successo internazionale e torna ancora in televisione. Dal romanzo di Kazantzakis è stata anche tratto uno sceneggiato della Bcc in sei puntate e uno della televisione greca in ben 70 puntate. Nel 1987, l’Opera nazionale magiara di Bupapest ha presentato “Ecce Homo” di Sándor Szokolay, altra opera tratta dal romanzo di Kazantzakis. Il lungo e complesso lavoro narrativo - le 70 puntate televisive sono rivelatrici - è stato asciugato da Bohuslav Martin, che mette l’accento sugli aspetti spirituali e della fratellanza con i profughi e rifugiati. La regia di Michieletto punto molto su questo aspetto rendendo lo spettacolo estremamente attuale.
(Hans Sachs) 2 mag 2011 13:18
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