CLT - Opera/ A Roma “La battaglia di Legnano”, la “misconosciuta” di Verdi
È l’unico lavoro davvero risorgimentale del Maestro di Busseto, poco rappresentata sia in Italia che all’estero. Un motivo in più per plaudire alla scommessa fatta nella Capitale
Roma, 23 mag (Il Velino) - Approda domani sera al Teatro dell’Opera di Roma la prima delle tre edizioni che quest’anno si vedranno in Italia de “La battaglia di Legnano”, unica opera davvero risorgimentale e patriottica di Giuseppe Verdi ma lavoro “misconosciuto”, come scrisse Gioacchino Lanza Tomasi in occasione di un raro allestimento (proprio nella capitale) del 1983. Le altre due sono programmate in autunno alla Scala e al piccolo teatro di Busseto. Composta su un mediocre libretto di Salvatore Cammarano (il quale a sua volte la trasse da un dramma popolare francese di successo (“La Bataille de la Toulose” che, fin troppo ovviamente, poco aveva a che fare con la Lega Lombarda, Federico Barbarossa e quant’altro), si tratta di uno dei pochi lavori “d’occasione” di Verdi, ossia commissionata per un evento specifico. Rappresentata al Teatro Argentina di Roma il 27 gennaio 1849, si pone nel solco degli avvenimenti che, sulla scia dei moti del 1848, dopo l’assassinio del riformista Pellegrino Rossi portarono alla fuga del Papa a Gaeta e alla proclamazione della Repubblica Romana. In questo contesto Verdi, già affermato da un bagaglio di una dozzina di titoli di successo, venne incaricato dalla gestione laica del Teatro Argentina di scrivere un’opera che da un lato interpretasse il momento e dall’altro fornisse slancio verso quello che sarebbe stato l’ulteriore rinnovamento. Tanto più che la Lega Lombarda combatteva Federico Barbarossa in nome del Papa.
L’opera è poco nota e mancano anche incisioni di rilievo, tranne una degli anni Settanta effettuata in Ungheria da Lamberto Gardelli. Due le ragioni. Dopo la fine della Repubblica Romana pochi teatri italiani vollero, per motivi sin troppo ovvi, riprenderla. Inoltre si tratta di un lavoro che, pur avendo alcuni estimatori, ha lasciato perplessi numerosi critici musicali. Severissimo, per esempio, il giudizio di Franco Abbiati nella sua “Storia della Musica”: “La vicenda non reca molto onore né a Cammarano né a Verdi: lo spunto storico veniva saldato a un misero scivolone coniugale, appiccicato per utilità effettistiche e lambiccato senza profonda convinzione né profonda passione (…) Le concomitanti espressioni del cabalattismo amoroso e dell’enfatica corale patriottica, si trovano sospese nel vuoto dall’azione inconsistente e sono incoraggiate ad insistere nei ripieghi dell’enfasi”. Durissimo anche Eugenio Montale: “Si sente che l’interesse di Verdi era d’altra natura”. Più positivo ma ironico Massimo Mila: l’opera “ci fa toccare con mano, meglio d’ogni altra opera di Verdi, che, per questo genio di struttura pressoché shakespeariana, il regno delle madri doveva essere in definitiva una banda di Paese”.
Tra i musicologi stranieri, unicamente Julian Budden nota una caratteristica importante: l’influenza delle forme operistiche francesi su Verdi, un’influenza che ne avrebbe tracciato il percorso futuro del musicista. Pur se le dimensioni, l’attrezzatura tecnica e le povere finanze del Teatro Argentina non avrebbero mai potuto fare approdare Verdi a quel grand-opéra cui sarebbe giunto sei anni dopo con “Les Vêpres Siciliennes”, di recente in scena al San Carlo. A “La battaglia” è mancata la diffusione non solo in Italia ma anche all’estero, dove pure viene regolarmente rappresentato un grande capolavoro verdiano come “Stiffelio” che raramente è presente sulle nostre scene. La produzione del Teatro dell’Opera di Roma, affidata alla direzione musicale di Pinchas Steinberg e alla regia di Ruggero Capuccio, è l’occasione di una rilettura di cui hanno beneficiato lavori come “Macbeth” e “Luisa Miller”, ormai consegnati al repertorio. Una scommessa che merita quindi di essere incoraggiata, insieme all’augurio di ogni bene a questo “figlio minore” di Verdi.
(Hans Sachs) 23 mag 2011 13:31
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