L´Italia e il patto europlus
01/05/2011 | Giuseppe Pennisi
Sulla politica economica dell´Italia si staglia l´accordo concluso tra numerosi Stati dell´Ue all´ultimo vertice dei capi di Stato e di governo.
Sulla politica economica dell´Italia (e degli altri Stati dell´eurozona oltre che Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, che, pur non facendo parte dell´area dell´euro hanno sottoscritto il patto europlus) si staglia l´accordo concluso tra numerosi Stati dell´Ue all´ultimo vertice dei capi di Stato e di governo.
Il testo (tra l´altro presentato in un pregevole dossier Ispi) non prevede procedure di "eccezione" alle regole del "patto di crescita e di stabilità" che intende rafforzare, non rendere più flessibile (come fatto nel 2005); specifica anzi che entro un lasso di tempo di tre anni l´indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni deve essere portato al di sotto del 3% del Pil: non viene precisato il termine entro cui ridurre lo stock di debito pubblico al 60% del Pil ma il riferimento esplicito al debt brake (freno da debito) induce a pensare ad una scadenza analoga perché lo stock di debito sia almeno al di sotto del 90% del Pil, rapporto oltre il quale lo conferma una recente analisi econometrica (Growth in time of debt di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff), diventa un macigno sulla strada della crescita. Non vengono previste sanzioni automatiche, ma il monitoraggio è affidato al più alto livello politico (il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell´Ue) sulla base di un´analisi tecnica annuale preparata dalla Commissione. Non si parla di altri "fattori rilevanti" (risparmio privato, indebitamento sull´interno invece che sull´estero); da ciò si deve dedurre che la proposta dell´Italia ha fatto molto meno strada di quel che si dice. Vengono aggiunti altri indicatori a quelli di macro-economia e finanza pubblica: le riforme previdenziali effettuate dal 1995 potranno metterci in futuro (non ancora oggi) in posizione comparata relativamente buona, ma siamo molto distanti dagli altri in tema di indicatori di competitività, ad esempio per quanto attiene il costo del lavoro per unità di prodotto e la contrattazione collettiva nazionale e la contrattazione nel pubblico impiego che dovrebbe essere "mirata a promuovere la competitività del settore privato". Lo siamo anche nel campo dell´"apertura di comparti protetti", nonché in materia di qualità dell´istruzione e di sforzo per la ricerca e sviluppo. Dovremo ridurre l´imposizione tributaria sul fattore lavoro senza aggravare ulteriormente deficit e debito e assicurare "la sostenibilità della spesa sanitaria".
Si profila un aggiustamento molto rigoroso e molto pesante di finanza pubblica per il periodo 2012-2015: nell´ordine di 15-20 miliardi di euro l´anno. La differenza tra le due cifre dipende dal tasso di crescita dell´economia internazionale (e italiana) e della possibilità di spalmare il riassetto sino al 2016. È impegno gravoso per chiunque sarà al governo ed avrà la maggioranza parlamentare prima e dopo il termine naturale della legislatura nel 2013. Nonostante si siano levate voci in favore di un'addizionale tributaria su famiglie e individui ad alto reddito e anche di una patrimoniale, ciò non solo sarebbe contrario agli aspetti del "patto" sull´imposizione, ma frenerebbe la crescita economica, aumentando, quindi, i rapporti tra deficit e debito, da un lato, e Pil, dall´altro un vero e proprio boomerang. Non resta che privatizzare pure in settori considerati strategici (energia, radio-televisione), anche facendo ricorso a "private equità" internazionali e a fondi sovrani punti su cui il dibattito è apertissimo e le controversie sono motivate e forti. Un contributo può venire dall´applicazione rigorosa della nuova legge di contabilità dello Stato e dal pronto azzeramento (come fece il governo Amato nell´estate 1992) delle "contabilità speciali" dove si annidano "residui passivi": solo il ministero dei Beni culturali ed ambientali ha ben 324 contabilità speciali fuori bilancio che non solo denotano inefficienza, ma minacciano un´inondazione improvvisa di spesa tale da mettere a repentaglio qualsiasi politica
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