E ora la micro-finanza di Al Qaeda come colpirà?
Giuseppe Pennisi
mercoledì 4 maggio 2011
Foto Ansa
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Quali errori sono stati fatti nell’operazione Bin Laden sotto il profilo dell’economia del terrorismo, una disciplina che negli ultimi venti anni è diventatata un ramo autonomo della scienza economica (di cui mutua alcuni paradigmi essenziali) e come rimediarvi? Il principale consiste nel non avere reso chiaro a tutti che l’obiettivo è stato raggiunto e non avere seguito pedissequamente le regole islamiche per i funerali e la sepoltura. È probabile che nei prossimi mesi, come nella Russia dei “secoli bui”, sorgeranno dieci- venti Bin Laden, al pari dei “falsi Dmitri” nell’ultimo periodo del Regno di Boris Gudonov. Il secondo consiste nell’avere gestito un’operazione altamente centralizzata senza che gli Stati alleati abbiano potuto stendere una rete di sicurezza capillare.
Pochi sanno che da alcuni lustri i servizi anti-terrorismo dei maggiori Paesi industrializzati a economia di mercato hanno “ruoli” specifici per economisti con il duplice scopo di: a) individuare come il terrorismo si finanzia e b) utilizzare la strumentazione della disciplina economica per combattere il terrorismo. Da tempo si sa, ad esempio, che l’economia “sommersa” è una delle fonti privilegiate perché il terrorismo trovi finanziamenti anche in Europa (e in Italia in particolare, a ragione della dimensione del sommerso nel Pil).
Un’analisi recentissima di Tolga Koker (Yale University) e Karlos Yordan (Drew University) traccia la geografia economica di un fenomeno poco studiato: la micro-finanza del terrorismo che spesso si annida in una rete articolata e molto diffusa (orchestrata da Al Qaeda) dietro il paravento di fondazioni e associazioni ufficialmente a scopo caritatevole. Ciò non vuol dire - si badi bene - che tutte le moschee siano ruscelli che alimentano il fiume e il mulino del terrorismo. Ciò significa, però, che attorno alle moschee si sviluppano fonti di finanziamento singolarmente forse modeste ma che rappresentano un sostegno importante per una rete disseminata sul territorio.
La strumentazione economica, aiutando a comprendere come funzione il sistema (ci sono molte analogie con l’impresa-rete, su cui proprio in Italia sono stati effettuati lavori pionieristici) è un ausilio importante agli “operativi” che devono cercare (anche infiltrandosi nella rete) di bloccarne tempestivamente le azioni. L’economia del terrorismo (nel senso di sviluppo della teoria economica del terrorismo e applicazioni d’analisi economica alla prevenzione dal terrorismo) ha avuto, per decenni, il suo centro all’Università di Chicago. Grazie a lavori effettuati a pochi chilometri dal Magnificent Mile (il lungo lago della città dell’Illinois) è stato, ad esempio, possibile simulare, con l’ausilio della “teoria dei giochi” (specialmente dei “giochi a più livelli” ormai nella prassi delle scuole militari), le strategie e le tattiche di dirottamento aereo e ridurne, nell’arco di meno di un lustro, il numero dei dirottamenti da 30 a circa due l’anno.
Gli “economisti del terrorismo” di Chicago hanno sviscerato l’“effetto di sostituzione” nelle strategie e nelle tattiche: a fronte dell’argine ai dirottamenti aerei, i terroristi si sono rivolti ad altri comparti, che, però, comportano costi maggiori e per essere attuati, richiedono risorse più ampie e risultati attesi molto più consistenti di quelli dei dirottamenti aerei. In tempi più recenti, l’Università della California del Sud è diventato il fulcro americano più importante in materia: la figura di spicco è Todd Sandler.
I lavori degli ultimi anni coniugano la “teoria dei giochi” con “la teoria economica dell’informazione e della comunicazione” e con paradigmi tratti dall’analisi dei mercati finanziari, quali la teoria delle opzioni e dei derivati. Da un lato, grazie a elaborati modelli esplicativi, questi studi documentano come il “terrorista razionale” cerchi risultati con vasto contenuto mediatico . Da un altro, le ricerche sugli “obiettivi anti-terroristi mirati” mostrano come un “anti-terrorismo a vasto raggio o a pioggia” avrebbe costi elevatissimi a fronte di risultati modesti; sono preferibili - affermano Todd Sandler e colleghi - strategie di prevenzione incentrate sulla decodificazione di segnali indiretti.
In Italia, l’economia dell’informazione della comunicazione ha gradualmente trovato posto, negli ultimi tre lustri, tra le discipline insegnate nelle Facoltà di Economia delle maggiori università. Inoltre, nel 2000-2006 si sono tenuti presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione (Sspa) corsi e percorsi formativi d’economia dell’informazione e comunicazione che, con contenuti appropriati, potrebbero essere organizzati dalla Scuola superiore del ministero dell’Interno, anche in quanto seminari in materia vengono periodicamente tenuti al Nato Defense College a Roma e allo Staff College delle Nazioni Unite a Torino. In tali percorsi, sono state tenute lezioni sull’economia del terrorismo e sulla crescente importanza dei nessi tra il fragore delle bombe e quello dei media.
In Europa, il centro più importante di ricerche su questi temi è l’Università di Zurigo, dove gli studi economici sul terrorismo sono guidati da quel Bruno Frey che è anche uno dei maggiori teorici dell’“economia della felicità” e in passato ha contribuito in misura significativa alla teoria economica delle cultura e dei mercati delle arti sceniche. Altre sedi di rilievo sono quelle guidate da Mats Lundhal della Università di Stoccolma e da Kurt Konrad della Libera Università di Berlino.
Quali sono alcune delle principali lezioni che si traggono dall’economia dell’antiterrosismo, ad esempio dai tre volumi di 1700 pagine curati da Todd Sandler e Keith Hartley, dai lavori di Bruno Frey della Università di Zurigo e da quelli di Mats Lundhal della Università di Stoccolma e di Kurt Konrad della Libera Università di Berlino?
In primo luogo, il contenimento del terrorismo è un “bene pubblico internazionale”, che non può essere fornito da un solo Paese e di cui beneficia tutta la comunità mondiale; dopo le risoluzioni Onu, anche Siria e Libano hanno dato la loro disponibilità a operare di concerto con il resto del mondo per bloccare i soldi del terrore. Ciò avrebbe richiesto (nei limiti concessi dall’obbligo di segretezza) un collegamento in sede Nato.
In secondo luogo, occorre vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano; questa attività ha ramificazione per quanto riguarda la vigilanza bancaria; negli Stati Uniti sono state potenziate, negli ultimi due anni e mezzo, le funzioni e le risorse a disposizione del Tesoro - tramite l’Irsa (l’agenzia delle entrate) e il Comptroller of Currency (una direzione generale del Ministero del Tesoro). Anche in Italia si è creata una direzione generale presso il ministero dell’Economia e delle Finanze nell’ambito del Dipartimento del Tesoro. Dobbiamo chiederci se le nostre attività di vigilanza finanziaria siano attrezzate alla bisogna. Dopo gli avvenimenti del 2 maggio dovranno essere potenziate e non ridotte.
In terzo luogo, è essenziale ridurre la capacità d’attrazione abbassando l’attenzione dei media e aumentando, al tempo stesso, il costo opportunità ai terroristi, nonché “offrendo alternative” a potenziali reclute del terrorismo. Secondo Bruno Frey , il decentramento politico e amministrativo può ridurre in misura significativa i benefici ai terroristi in quanto implica un più forte controllo sociale. Più complicato “offrire alternative” a potenziali terroristi: ciò vuole dire “strategie negoziali” o, in termini di gergo economico, “cooperative”. Percorso che pochi Governi sono pronti a seguire. Specialmente adesso.
Per l’Italia, due lezioni essenziali: da un lato cooperare sempre più strettamente con i servizi anti-terrorismo alleati; da un altro, potenziare le strutture sul territorio, specialmente a livello provinciale, con finalità non sono di controllo, ma anche di individuare alternative a chi è a rischio di finire nelle maglie delle cellule.
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