martedì 17 maggio 2011

Il "War Requiem" e l'inutile strage Il Sussidiario 18 maggio

BENJAMIN BRITTEN/ Il "War Requiem" e l'inutile strage
Giuseppe Pennisi
mercoledì 18 maggio 2011
Semyon Bichkov (Ansa)
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C’è una differenza tra “pacificatori” e “pacifisti”? Credo di sì, soprattutto in quanto il termine “pacifista” è spesso stato utilizzato a senso unico - ossia con il significato che implicava una scelta di schieramento politico avversaria a quella dell’Occidenrte. Ricordiamo che fu proprio Giuseppe Stalin a inventarsi “i partigiani della pace” e che sono stati chiamati “pacifisti” coloro che, ad esempio, alla metà degli Anni Cinquanta erano ben lieti che la Corea del Nord, allora industrializzata e ricca di risorse idrauliche e minerali, si mangiasse con un boccone solo la Corea del Sud. Se al termine “pacifista” è stata data, per decenni, una connotazione differente da quella che si dà al termine “pacificatore”, Benjamin Britten deve essere considerato l’uno o l’altro? E’ una domanda che va posta all’indomani dell’esecuzione all’Accademia di Santa Cecilia con il magnifico “War Requiem” di Benjamin Britten , concertato con precisione e passione da Semyon Bichkov.

Britten aveva lasciato la Gran Bretagna alla volta del Canada e degli Stati Uniti. Aveva 25 anni, un’età in cui sarebbe potuto essere richiamato in guerra in caso di conflitto; e le ostilità sarebbero scoppiate solo quattro mesi più tardi. Era una fuga per “pacifismo”? O c’erano anche altre ragioni? Senza dubbio, Britten non era a suo agio in un’Europa dove stava per iniziare quella che sarebbe stata la seconda guerra mondiale. E’ un lavoro “pacificatore” Per Britten, la guerra è l’ “inutile strage” lamentata da Benedetto XV; per questo motivo termina con un duetto delicatissimo tra i due belligeranti che si sono uccisi a vicenda, senza sapere il perché, e anelano solamente a dormire mentre il coro di fanciulli invoca il “requiescant in pace”.

L’esecuzione è stata di altissimo livello. Bichkov, al pari di Antonio Pappano, ha chiaramente una preferenza per l’opera e ha trattato il lavoro come un vasto oratorio drammatico sin dalla disposizione stessa dell’organico: il coro di voci bianche degli angeli (supportato da un organo) in alto (quasi nascosto dall’ultimo ordine di galleria), la grande orchestra, il doppio coro (la comunità dei fedeli) e il soprano (protagonisti della Messa in latino) dispiegati sul palcoscenico, e il piccolo ensemble da camera (principalmente percussioni) con il tenore e il baritono quasi in trincea accanto al concertatore. Oltre a un effetto musicali stereofonico ed a più livelli, ciò comporta anche un grande effetto scenico. L’orchestra e i cori (anche quello di bambini) hanno mostrato tutte le loro qualità e capacità. Bichkov è, però, meno sanguigno, più delicato di Pappano che anni fa proprio con il “War Requiem” di Britten inaugurò una stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Tra i solisti si distingue Andrew Staples, un bari-tenore dal timbro molto simile a quello di Peter Pears. Marina Poplavskaya dà un taglio quasi straussiano o wagneriano al suo ruolo. Bravo come sempre Dietrich Henschel.


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