ECO - *“Transizione militare” e sviluppo di Nord Africa e Medio Oriente
Roma, 2 mar (Il Velino) - L’evoluzione politica delle ultime settimane in Nord Africa e Medio Oriente desta numerose preoccupazioni economiche. Quelle più immediate (e che maggiormente stanno interessando gli istituti di analisi econometrica e la stampa) riguardano gli effetti sull’Europa (e in particolare sull’Italia) dell’impennata dei corsi delle materie prime - soprattutto petrolio, minerali ferrosi e alimentari - con le sue ripercussioni sull’inflazione da costi, e della temuta ondata migratoria. Occorre, però, anche cominciarsi a chiedere quali possono essere gli assetti istituzionali che meglio possono promuovere uno sviluppo di lungo termine dell’area, senza il quale sarà difficile congetturare una riduzione significativa delle tensioni in una regione dove il 60 per cento della popolazione ha meno di trent’anni ed è, per la prima volta nella storia della sponda inferiore e orientale del Mediterraneo, non solo alfabetizzata ma anche avvezza all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In grado, quindi, di fare networking, di organizzarsi e di farsi sentire. Il dipartimento di Stato americano - si legge sulla stampa internazionale - presagirebbe l’evoluzione di monarchie costituzionali negli Stati (per lo più arabi) a forma monarchica e di repubbliche costituzionali negli altri. In effetti, il quadro istituzionale che pare profilarsi potrebbe essere molto differente e privileggerebbe il ruolo dei militari. In Egitto, si è verificato un vero e proprio “golpe” da parte dello stato maggiore. Altri sono possibili in Libia (sia nella neonata Repubblica di Cirenaica sia in ciò che emergerà dalla Tripolitania) e in Bahrein, nonché in Marocco (ove il contagio si estendesse). Un processo analogo pare bollire in pentola in Giordania (tra varie gruppi o fazioni del complesso militare). Le stesse monarchie arabe saranno molto differenti da quella di Westminster e tanto per reggere quanto, soprattutto, per governare e avviare processi di sviluppo dovranno dare ai militari un ruolo maggiore di quello avuto negli ultimi lustri.
Quali le implicazioni per la crescita e lo sviluppo a medio e lungo termine? Si posero il problema, nel lontano 1989, Douglas North (a cui due anni dopo sarebbe stato conferito il premio Nobel per l’Economia) e Barry Weingast, in un saggio considerato un classico: guardavano, però, non al Nord Africa e al Medio Oriente ma all’evoluzione verso la modernizzazione in Europa Occidentale. Lo loro risposta fu chiara e netta: quando una classe dirigente non è più in grado di impegnarsi in politiche che promuovono crescita e sviluppo, deve cedere lo scettro a un “settore più ampio” della società. Una lettura “buonista” del saggio di North e Weingast ha fatto sì che tale locuzione venisse spesso interpretata nel senso di dare il potere a una classe dirigente che emergesse dalla “società civile”. Una lettura attenta del lavoro indica, invece, che North e Weingast avevano in mente una soluzione “autoritaria” che sospendesse le istituzioni democratiche proprio al fine di incoraggiare politiche di crescita e di sviluppo. Uno studio, ancora inedito, di F. Andrew Hanssen di Clemson University e di Robert K. Fleck della Montana State University, utilizza dati quantitativi davvero unici per applicare il “teorema” di North e Weingast all’evoluzione dello sviluppo economico nella Grecia antica, le cui condizioni, per certi aspetti, assomigliavano a quelle di Paesi ai primi stadi del progresso economico come quelli della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo. Gli indicatori riguardano le statistiche (ovviamente frammentarie) sulle derrate, sulla costruzione di edifici pubblici, sull’evoluzione delle città e sui collegamenti stradali.
La conclusione è che le città-Stato di maggior successo nella Grecia classica erano governate da “tiranni”, con il supporto dei militari. Le “tirannidi” avevano una durata limitata nel tempo e attuavano politiche con un forte impatto sulla crescita (essenziale per mantenere lo scettro). La creazione di ricchezza portava gradualmente a forme di gestione collegiale del potere (e a una retrocessione del ruolo dei militari). Un esempio storico recente e calzante si ha non tanto nella Turchia di Ataturk ma in Egitto, il cui processo di modernizzazione e sviluppo iniziò quando le redini del potere erano ben salde nelle mani di Mehmet Ali e delle sue truppe. Ali era un comandante di ventura albanese; conquistò il Paese nel 1805 estendendone l’influenza sino all’attuale Sudan, formando (all’estero) una nuova classe dirigente e comprendendo come l’elevatissima qualità del cotone egiziano potesse essere la base di una fiorente industria tessile. Scisse l’Egitto dall’Impero Ottomano, lo dotò di istituzioni politiche all’apparenza analoghe a quelle prevalenti in Europa ma in sostanza tali da far fare un passo indietro ai suoi militari solo quando lo sviluppo fosse autosostenibile (nella concezione dell’epoca). Una curiosità: un’eredità duratura di Mehmet Ali è che a corte si è parlato italiano (per gli albanesi era “la lingua colta”) sino alla seconda guerra mondiale: Faruk è stato il primo, e l’ultimo, re egiziano a parlare correttamente l’arabo. Venne defenestrato quando il Paese ristagnava; nei primi decenni del governo Nasser (un militare sostenuto dai militari) il Paese si diede un’industria di rilievo e un modernissimo sistema di irrigazione.
(Giuseppe Pennisi) 2 mar 2011 20:09
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