lunedì 28 marzo 2011

Ferrero non convince ma Dellapiccola "salva" Modena e Bologna in Il Velino 28 marzo

CLT - Lirica, Ferrero non convince ma Dellapiccola "salva" Modena e Bologna
Le due città emiliane festeggiano il 150esimo dell’Unità con un’opera commissionata (“Risorgimento!”) e una poco eseguita (“Il prigioniero”). Il progetto però riesce solo a metà


Modena, 28 mar (Il Velino) - Il Teatro “ Luciano Pavarotti” di Modena ed il Comunale di Bologna hanno avuto una buona idea per celebrare i 150 anni dalla proclamazione dell’unità d’Italia: commissionare un’opera nuova in un atto a un compositore affermato in Italia ed all’estero, Lorenzo Ferrero, e accoppiarla con un capolavoro italiano di 60 anni fa molto eseguito in altri Paesi ma poco nel nostro. La prima è “Risorgimento!” di Ferrero. Il secondo è “Il Prigioniero” di Luigi Dallapiccola. Il progetto è riuscito solamente in parte. Viste e ascoltate le due opere alla serata inaugurale di sabato a Modena (saranno in cartellone a Bologna sino al 16 aprile), c’è da ritenere che “Risorgimento!” debba considerarsi un incidente di percorso di un musicista che molto ha dato al teatro musicale (ad esempio “Marilyn”, “Salvatore Giuliano”, “Carlotta Corday”, “La Conquista”) e che si è trovato alle prese con un libretto scarsamente credibile, a metà tra il patriottico e l’ironico, cui applicare il suo stile eclettico neo-tonale. Occorre aggiungere che regia (Giorgio Gallione), scene (Tiziano Santi), costumi (Claudia Pernigotti) e soprattutto direzione musicale (Michele Mariotti) e cantanti (Valentina Corradetti, Annunziata Vestri, Alessandro Spina, Alessandro Luongo) si sono prodigati per rendere sopportabili i 57 minuti che restano a metà tra uno spettacolo per liceali (ma di quelli che si facevano negli anni Cinquanta) e un divertissement salottiero per pochi intimi.

Ben altro spessore “Il Prigioniero”, che dovrebbe essere rappresentato molto più spesso per il valore musicale e civile a esso intrinseco. Luigi Dallapiccola era istriano di nascita ma fiorentino di cultura; al Conservatorio “Cherubini” fu dapprima docente di pianoforte per decenni, poi di composizione per “chiara fama”, successivamente di nuovo di pianoforte dopo essersi dimesso dalla cattedra di composizione in seguito alle leggi razziali che colpivano sua moglie. Pure Renzo Cresti, notoriamente poco estimatore della musica del Novecento “storico” (ossia da inizio secolo ad Anni Settanta) in quanto, per sua stretta ammissione, “appassionato della più stretta contemporaneità”, ricorda che “nel dopoguerra Dallapiccola è stato uno dei punti di riferimento dei musici fiorentini”. Dati i suoi frequenti soggiorni all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, sia negli anni Trenta sia negli anni Cinquanta e Sessanta, sarebbe più corretto dire che è stato un punto di riferimento per tutta la musica contemporanea, soprattutto per quella postasi sul solco della dodecafonia: in un libro del 1978, quindi solo pochi anni dopo la morte di Dallapiccola (1904-1975), il musicologo americano, Etthan Morden definisce “Il prigioniero” come “l’esperienza ultima ed estrema del viaggio dell’opera moderna alla volta del mito”.

Nel 2004, in occasione del centenario dalla nascita di Dallapiccola (scomparso nel 1975) la Fondazione del Maggio Musicale lo ha celebrato in grande stile, con nuovi allestimenti di due delle sue opere più significative “Volo di notte” del 1940 e, per l’appunto, “Il Prigioniero” del 1950, nonché chiamando uno dei maggiori direttori d’orchestra, Bruno Bartoletti (fiorentinissimo pure lui) specializzati nel repertorio del Novecento. Le celebrazioni del centenario di Dallapiccola non hanno riguardato solo Firenze. La Radio Vaticana ha dedicato un ciclo di 13 trasmissioni e la Rai di dieci a quello che è, universalmente considerato, uno dei maggiori compositori italiani; l’Accademia di Santa Cecilia ha eseguito l’oratorio scenico “Job”, l’Orchestra di Roma e del Lazio “la piccola serenata lunare”, i teatri Massimo di Catania e di Palermo hanno abbinato “Job” a “Il Prigioniero”, a Città del Messico è stato messo in scena un nuovo allestimento de “Il Prigioniero”, le maggiori città tedesche hanno ospitato serate monografiche dedicate a Dallapiccola, il conservatorio di Pisa ha organizzato un ciclo di nove conferenze e una serie di concerti. E tutto questo per non citare che le iniziative più importanti. Neanche in occasione del centenario è stata colta l’opportunità di mettere in scena il capolavoro ultimo di Dallapiccola, quell’”Ulisse” rappresentato a Berlino (in tedesco) nel 1968 e di cui esiste una rara ma eccellente registrazione di Radio France. In “Ulisse” con la Fede si risolvono i dilemmi sollevati ne “Il Prigioniero” che comunque continua a essere frequentemente eseguito all’estero (ottima l’esecuzione della radio svedese guidata da E. P. Salonen di cui esiste un cd Sony).

Dallapiccola era compositore colto e di vaste letture (dal teatro greco alla Bibbia, dalla Divina commedia a Proust, Joyce, Thomas Mann) e quindi la parola non è un dato inerte, gratuito, aleatorio ma carico di espressività e di tradizione letteraria, così tutti gli elementi della partitura (disposizione della “serie” in senso orizzontale e verticale, timbro, ritmo, dinamica….) sono dati “parlanti”. “Il Prigioniero” ha fonti letterarie: un racconto di Villiers de l’Isle-Adam, rivisitato attraverso letture di Victor Hugo e Charles de Coster. Il libretto venne scritto nel 1942-44, quando il “fascista” Dallapiccola, come lo considerava l’establishment filo-marxista del dopoguerra, era attivo nella resistenza fiorentina; la prima rappresentazione si ebbe nel 1950. Il prologo e un atto in cui protagonisti sono stereotipi archetipi (la madre, il prigioniero, il carceriere, il grande inquisitore, i sacerdoti, il frate), è ambientato nella Spagna della Controriforma, ma i riferimenti alle dittature in generale, alle purghe staliniane e ai gulag sono fin troppo evidenti, come dimostrato dal successo negli Usa degli anni Cinquanta e in Europa centrale ed orientale dalla fine degli anni Ottanta. Nel 1950 il critico ufficiale dell’“Unità”, Mario Zafred, parlò di “melma sonora” e il “compagno di strada” Mario Rinaldi invocò “vera musica non matematica”. Lo stesso Franco Abbiati non si sbilanciò scrivendo di “fenomeno acustico più o meno interessante”. Si schierarono, però, con Dallapiccola, Mila, Vlad, Gatti, Rognoni e altri. Nonché il pubblico.

A Modena l’eccellente direzione musicale di Michele Mariotti, l’efficace impianto registico scenografico e il buon cast vocale – in particolare Chad Amstrong nel ruolo del protagonista – hanno mostrato come all’estrema mobilità di timbri e di disegno della parte orchestrale (che richiede un organico enorme), Dallapiccola contrappone una grande semplicità d’impianto vocale che conoscono diverse intensità d’emissione. Mariotti, inoltre, mette in rilievo, meglio di Bartoletti, la parentela tra “Il Prigioniero” e le opere di Berg: l’impianto è dodecafonico ma viene evitato l’anonimato aritmetico della serie. Come faceva, proprio in quegli anni, Hans Werner Henze sconvolgendo, con “Boulevard Solitude”, il pubblico romano. In breve, “Il Prigioniero” vale un viaggio, anche se si rischia di appisolarsi durante “Risorgimento!”.

(Hans Sachs) 28 mar 2011 13:02



Alla c.a. Paolo & Co

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