mercoledì 2 marzo 2011

Lirica/ “Don Giovanni” sospeso tra zeloti ed erodiani Il Velino 2 marzo

CLT - Lirica/ “Don Giovanni” sospeso tra zeloti ed erodiani


Bologna, 2 mar (Il Velino) - “Don Giovanni” è una delle opere di Mozart più rappresentata in assoluto. È stata scelta per inaugurare la prossima stagione della Scala ed è in scena sino al 13 marzo in una bella edizione a Bologna, dopo il “rodaggio” a Macerata nel 2009 (dove ha debuttato) e ad Ancona. La rappresentazione emiliana suggerisce una riflessione in chiave di “political economy” coniugata a elementi di cultura musicale. Il successo di quest’opera nella versione del mito drammatizzata e musicata da Da Ponte e Mozart, dipende dal fatto che il lavoro, nonostante abbia circa 220 anni sulle spalle, rispecchia meglio di altri la tensione tra “zeloti” (ancorati al passato e alle sue regole, sia scritte che implicite) ed “erodiani” (rivolti, invece, verso la modernizzazione). Uno schema del genere è stato suggerito, alcuni anni fa, in un breve saggio da Antonio Cognata, oggi Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, e Pasquale Lucio Scandizzo dell’università di Tor Vergata. Lo studio di Cognata e Scandizzo analizza i comportamenti di Don Giovanni e del Commendatore secondo i paradigmi di base della teoria dei giochi (il “dilemma del prigio1iero”) e inquadra il protagonista e il suo dueteragonista in un contesto di analisi economica per giungere a generalizzazioni sui “falchi” e sulle “colombe” come categorie economico-sociali di fronte al cambiamento. Altro punto è l’ineluttabilità che, in una fase di transizione (quasi da “die verwandlung” della tradizione tedesca), ci sia un agente economico disponibile a fare il “falco” sino alle estreme conseguenze -ossia farsi uccidere - per facilitare l’affermarsi delle nuove regole.

Il Don e il Commendatore, i “falchi”, devono giungere alla doppia morte (e alla caduta agli inferi) per fare avanzare la modernizzazione frenata dalle “colombe” (di cui Don Ottavio sarebbe lo stereotipo). Tuttavia, mentre i “falchi” e le “colombe” differiscono in materia di tempi e modi per affrontare il cambiamento, nell’ipotesi proposta in questo articolo gli “zeloti” il cambiamento non lo vogliono affatto e gli “erodiani” sono pronti a recepire “habits and rules” altrui pur di favorire il cambiamento. Ci sono, dunque, differenze sostanziali tra i due schemi. La distinzione tra “zeloti” ed “erodiani” viene dai Vangeli ed è stato utilizzata da Luciano Pellicani in analisi sociologiche stimolanti. Non funziona per tutte le interpretazioni del mito di Don Giovanni. Non per quelle di Tirso da Molina o di José Zorilla - due moralisti bigotti che mettevano a nudo “la malvagità punita” del “burlador”. Non per quella di Molière, “immoralista”, invece, per eccellenza. Forse neppure a quella di Da Ponte (se privata della musica di Mozart), che nella vita privata era un abate “immoralista ben temperato” e sempre in bolletta che versificò una “contaminatio” delle più note versioni precedenti quando buttò giù in poche settimane il testo per Mozart con intenzioni vagamente didascaliche. Vecchio e malato ma tornato a Santa Romana Chiesa, ed ai Sacramenti, scelse il “Don Giovanni” (e non il suo vero capolavoro scenico, l’ “immoralissimo” “Così fa tutte). Lo schema esplicativo degli “zeloti” e degli “erodiani” è, però, appropriato per interpretazioni più recenti del mito del Don, da quella di Kierkegaard a quelle elaborate nel periodo tra le due guerre mondiali - all’insegna del “verwandlung” per eccellenza.

“Don Giovanni” ha specificità musicali che lo rendono molto più pregnante del libretto (immaginiamo cosa ne avrebbero fatto un Piccini, un Paisiello o un Salieri). In primo luogo, sin dalla ouverture avvertiamo che siamo di fronte a qualcosa che è ben diverso da un’“opera buffa” o un “dramma giocoso”: dalle prime misure si avverte il fuoco dell’inferno in fa (che, tre ore più tardi, concluderà l’opera); il quadro è cosmico. In secondo luogo, il trattamento musicale del protagonista non ne fa né una caricatura né del libertino né un proto-illuminista molieriano. Le note di Mozart avvolgono Don Giovanni in quel clima luciferino che ritroveremo, ad esempio, alcuni lustri più tardi nell’”opera nazionale” tedesca. È luciferino lo stesso brindisi alla libertà del “finale primo”, giustapposto, simmetricamente, alla scena, pure essa luciferina, con il Commendatore nel “finale secondo”. Luceferianamente, né il Don né il Commendatore hanno una “cavatina” (aria di ingresso nelle convenzioni operistiche dell’epoca) o “cabalette” e “legati”.

Don Giovanni vuole tornare all’inferno da dove è arrivato - come detto dalle prime note dell’ouverture. Il Commendatore è uno strumento per compiere questa marcia, più efficace dei tentativi di seduzione (tutti “in bianco”, come esplicitato dai “diminuendi” che chiudono ciascuno di loro). Pure il Commendatore appartiene, come il Don, al mondo musicale della futura opera nazionale tedesca con ottave che tendono verso bassi mai sperimentati prima di allora. Anch’egli è segnato dal destino sin dal “do” con cui appare in scena - costretto al “gioco ad ultimatum” fin dall’inizio dell’opera. Inoltre, il “gioco ad ultimatum” viene ripetuto - con inversione dei ruoli. La “teoria dei giochi” aiuta a comprendere il contesto istituzional-musicale in cui operano Don Giovanni ed il Commendatore - un contesto proteso verso quella che sarebbe diventata l’opera tedesca sino ai suoi sviluppi nel 20simo secolo. È la tensione verso il nuovo degli “erodiani” che sovente soccombono proprio per eccesso di modernizzazione. È un contesto molto differente da quello in cui vivono gli altri personaggi dell’opera: il mondo musicale dell’opera “all’italiana” fatto di cavatine, arie, cabalette, duetti, terzetti e concertati. Regole ben definite che assicurano certezze, informazioni simmetriche e costi di transazione relativamente bassi.

(Hans Sachs) 2 mar 2011 19:11

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