lunedì 14 marzo 2011

quanto Risorgimento c’è davvero nel Nabucco? Il Velino 14 narzo

CLT - Lirica, quanto Risorgimento c’è davvero nel Nabucco?
Apolitico e disinteressato all’Unità, Verdi ne divenne fautore solo coi moti del 1848. Sei anni dopo il "Va' pensiero"


Roma, 14 mar (Il Velino) - In scena al Teatro dell’Opera di Roma fino al 24 marzo, il “Nabucco” di Giuseppe Verdi, opera scelte per le celebrazioni del 150esimo dell’unità d’Italia, è uno sforzo produttivo enorme: Riccardo Muti, giunto da Chicago per curare personalmente tutte le prove, non si è limitato al ruolo di maestro concertatore ma ha curato, con attenzione, tutti gli aspetti dio uno spettacolo già all’insegna del tutto esaurito. La serata del 17 marzo sarà presenziata dal Capo dello Stato e allo spettacolo saranno invitate autorità italiane e straniere e l’evento sarà trasmesso dalla Rai e da televisioni francesi e tedesche. Il pomeriggio del 21 marzo il complesso del Teatro dell’Opera offrirà un concerto alla Camera dei deputati dove non mancheranno parti del “Nabucco”. La produzione, infine, andrà in forma di concerto il 27 marzo a San Pietroburgo al “Mariinskiy”. Già ieri (la prima è terminata alla mezzanotte di sabato) le cronache davano atto dell’enorme successo (con “Va pensiero” bissato da coro e pubblico all’unisono), anche per il lancio di volantini contro la riduzione della spesa pubblica per la cultura in generale e per l’opera in generale, cui hanno partecipato anche il sindaco Alemanno, il Maestro Muti e tutto il loggione.

Più che sottolineare le qualità dello spettacolo, però, vale la pena riprendere il tema su quanto Verdi possa essere considerato “il bardo” del Risorgimento e in che misura “Nabucco” può essere vista come opera che contribuì al movimento di unità nazionale. Gli storici della musica ormai concordano che Verdi acquisì una coscienza risorgimentale solo in concomitanza dei moti del 1848, della Repubblica Romana e delle guerre d’indipendenza. Occorre, però, fare alcune precisazioni. La coscienza risorgimentale di Verdi fu limitata. Il compositore è stato essenzialmente un apolitico, fedele suddito di Maria Luigia duchessa di Parma sino al trasferimento a Milano (1832) e dopo di allora non ebbe alcuna manifestazione di “dissidenza” nei confronti degli Asburgo, almeno fino al termine della II guerra d’indipendenza. Le opere della “trilogia popolare” (“Rigoletto”, “Trovatore” e “Traviata”) non ebbero le loro prime rappresentazioni nella Milano “liberata” con la II guerra d’indipendenza, ma nella Roma papalina e nella Venezia asburgica. La sua opera concettualmente più rivoluzionaria, “Stiffelio”, imperniata sul perdono dell’adulterio, ebbe la prima rappresentazione a Trieste, città che fungeva da porto e da Borsa merci e valori di Vienna.

Verdi, anzi, provava un certo disprezzo nei confronti della politica, palesato apertamente in “Simon Boccanegra”, “Don Carlo” e, soprattutto, “Aida”. Nominato senatore del Regno, non fece mistero (il suo epistolario è chiarissimo) di annoiarsi. Non potendo dimettersi, andava a palazzo Madama il meno possibile. In effetti, solo la Chiesa (quale che fosse la confezione) veniva tenuto in maggior spregio delle politica: si pensi al ruolo del Grande Inquisitore in Don Carlo e dei Sacerdoti in “Aida”; nello stesso “Nabucco” il vero cattivo è il Grande Sacerdote di Belo. In breve, la partecipazione di Verdi al movimento di unità nazionale fu sostanzialmente passiva, non come quella di Richard Wagner, rivoluzionario e nazionalista, che sin dalle prime opere (si pensi a “Lohengrin”) vagheggiava un nuovo e invincibile impero germanico. I suoi melodrammi vennero, però, letti come espressione risorgimentale da quella borghesia che andava a teatro, ne finanziava l’operatività ed era l’anima del movimento. Poco importa che alla prima alla Scala nel 1842 “Va’ pensiero” ricevette applausi di cortesia mentre il pubblico si spellò le mani all’inno finale a Dio (sebbene Verdi non fosse credente). Eppure, nell’immaginario, “Va’ pensiero” viene ancora oggi letto come simbolo del Risorgimento, uno dei due periodi peraltro - l’altro è il Seicento a Venezia - in cui in Europa la lirica si finanziò con le proprie gambe, ossia con i proventi della biglietteria e i finanziamenti dei “palchettisti”.

Quanto allo spettacolo di Muti è per molti aspetti esemplare perché, da un lato, il direttore e l’orchestra danno un forte impulso ritmico ad un dramma di cui, sulla scena, di risorgimentale c’è poco o nulla; Scarpetta offre infatti una lettura visionaria in una scena unica e costumi in gran misura in bianco e nero , lontani da interpretazioni colossali (come ad esempio nella messa in scena curata, sempre a Roma, da Jacob Kaufmann nel 2004 e nel 2007). Nonostante l’età, grazie alla tecnica e alla recitazione, Leo Nucci affascina ancora come Nabucco. Al suo fianco due scoperte, almeno per l’Italia: l’ungherese Csilla Boross nel ruolo impervio di Abigaille e l’ucraino Dmitry Beloselskiy in quello di Zaccaria. L’augurio è di un cd e un dvd.

(Hans Sachs) 14 mar 2011 12:41



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