SI DECIDE NELL’AREA DI RIGORE IL FITURO DELL’UNIONE MONETARIA
Giuseppe Pennisi
Sul vertice europeo, in corso a Bruxelles, è piombata la notizia della crisi di Governo in Portogallo: il Presidente del Consiglio José Socrates, ha dato le dimissioni dopo avere tentato senza successo di fare approvare dal Parlamento il piano di austerità concordato per avere accesso agli aiuti europei. E’ difficile dire se ed in che misura la notizia inciderà sui testi del “patto per l’euro” in fase di messa a punto.
Nella versione concordata l’11 marzo (consultabile sul sito ufficiale dell’UE, http.europa.eu) viene depennato il cosi detto “compromesso Carli”, la clausola introdotta, nell’ultima fase del negoziato di Maastricht, in base alla quale il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil degli Stati dell’unione monetaria avrebbe dovuto “tendere al 60%”. Il testo all’approvazione del “vertice” prevede un calendario preciso pur se ”in circostanze eccezionali” si potrà fare valere la tipologia del debito (quanto sull’estero, quanto sull’interno, quanto finanziato da risparmio delle famiglie)”. E’ un’apertura molto stretta: occorre “chiedere” la presa considerazione di “circostanze eccezionali”. Per l’Italia sarà meno facile di quanto si pensasse perché, la propensione al risparmio delle famiglie è diminuita dal 14% al 12% da fine 2009 a fine 2010.
Le regole UE determineranno, per i 17 dell’euro, “manovre” impegnative per i prossimi tre esercizi finanziar. Per l’Italia sarebbero nell’ordine di 15-20 miliardi di euro l’anno (tenendo anche conto dell’esigenza di portare al di sotto del 3% il rapporto deficit :PIL) . Queste stime sono state effettuate sulla base di tre modelli econometrici (Bce, Fmi e ’Ocse), nonché utilizzando il “consensus” ( i 20 maggiori istituti internazionali privati). Le differenze tra consistenza minima e massima dipendono dai tassi di crescita dell’economia mondiale ed europea (nonché italiana) che si ipotizzano per il periodo 2011-2014 nonché dalla volontà UE di fare scattare la clausola delle “circostanze eccezionali” . Per l’Italia, le previsioni di crescita sono sull’1,5% del Pil. A mio giudizio,, si potrebbe raggiungere il 2% grazie ad un accelerato programma di liberalizzazioni (soprattutto a livello locale), . privatizzazioni pure in settori considerati strategici (energia, radio-televisione) e l’aumento del peso di stranieri nell’azionariato delle rispettive holding o imprese. So bene che su questo punto il dibattito è apertissimo e le controversie sono motivate e forti. Tutti possono invece concordare sul fatto che un contributo può venire dall’applicazione rigorosa delle nuova legge di contabilità dello Stato e dal pronto azzeramento (come fece il Governo Amato nell’estate 1992) delle “contabilità speciali” dove si annidano “residui passivi”: come disse all’epoca il Dr.Sottile, possono diventare all’improvviso “inondazioni – di spesa n.d.r.- come quelle conseguenti di disastro del Vajont. Su questo scenario , incombe per noi e per gli altri la prospettiva di un aumento dei tassi d’interesse quando il 7 aprile si riunirà il Consiglio Bce. Il rischio , lo dice anche Bradford DeLong (ex sottosegretario al Tesoro Usa ed ora professore a Berkeley in California) in un saggio su “The Economist’s Voice”, è che ciò potrebbe strozzare la ripresa in molti Paesi europei proprio mentre essa si sta avviando. Arduo prevedere se i rappresentanti dell’Italia al Consiglio Bce vorranno e potranno fare sentire la loro voce. Quelli di Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo sembrano consegnati al silenzio. Mentre dovrebbero anche loro e non solo loro ricordare che la sostenibilità politica e sociale è colonna portante di qualsiasi unione monetaria. Le crisi in Grecia e Portogallo lo testimoniano.
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