Mentre si metteva a punto la legge finanziaria, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali si discuteva animatamente se e come introdurre incentivi alla maggiore economicità nella gestione dei teatri lirici. Due determinanti immediate la hanno scatenata: a) la definizione di incentivi per i bacini d’utenza delle scuole (quelle che funzioneranno meglio riceveranno finanziamenti aggiuntivi), infine previsti all’art.50 della legge finanziaria; b) la situazione disastrosa del San Carlo di Napoli (e di contrappunto il risanamento e la rinascita del Massimo di Palermo) , prova concreta che il dissesto finanziario dei teatri lirici non ha rapporti (veri o presunti con la meridionalità, ma ne ha con la qualità della gestione). La proposta, in breve, era quella di introdurre un meccanismo di premialità: i teatri che chiudono i bilanci in pareggio od in utile avrebbero ricevuto un premio (analogo a quelli previsti dai fondi strutturali europei) per programmare stagioni più ricche nel futuro. Tale proposta – ricordiamolo – era stata presentata la primavera scorsa ad un seminario organizzato a Milano dall’Istituto Bruno Leoni a cui hanno partecipato numerosi esponenti della cultura musicale italiana. L’idea è stata cassata dalla confraternita della spesa in disavanzo per la musa bizzarra ed altera- confraternita di cui – è triste dirlo – fanno parte molti Sovrintendi di teatri lirici.
Nel nostro “orientamento quotidiano” abbiamo visto (ad esempio, analizzando i conti e le vicende del Festival di Aix-en-Provence) come non è necessario chiudere i bilanci consuntivi in passivo (e correre da Pantalone in cerca di aiuto) per fare buona lirica.
Di recente, mi sono recato a Barcellona per l’inaugurazione della stagione. Il Teatro nasce come un’impresa puramente privata (una società di palchettisti simile a quelle che allora nascevano in tutta Italia) e tale è rimasta sino all’incendio del 31 gennaio 1994 che distrusse la platea ed il palcoscenico (il 29 gennaio 1996 un incendio analogo avvenne alla Fenice). Le esigenze finanziarie della ricostruzione (il teatro venne riaperto il 7 ottobre 1999, la Fenice il 14 dicembre 2003) costrinsero la Società dei palchettisti a cedere il teatro ad un’associazione di cui fanno parte il Ministero della Cultura, la Catalogna, la Regione, il Comune, oltre ai rappresentati dei vecchi proprietari e di vecchi e nuovi sponsor.
La ricostruzione è stata l’occasione per innovare profondamente il teatro (mantenendo la platea, i palchi, il foyer, la sala degli specchi e la facciata come nell’originale ottocentesco), ma dotandolo di un palcoscenico tecnologico (che consente la messa in scena di più spettacoli nel corso della stessa settimana), di un ristorante sotto la platea (per cene dopo teatro) e soprattutto di un impianto per riprese televisive e DvD – la cessione di diritti televisivi (specialmente in Usa ed Oriente- in Italia si vedono spesso sul canale “Classica”) e la vendita di Dvd sono una fonte importante di proventi, unitamente all’apporto degli sponsor (incoraggiati da incentivi tributari). La biglietteria, comunque, copre il 35% del bilancio (sempre in leggero attivo): cifra che fa impallidire il 5% dei teatri italiani ed il 10% di quelli tedeschi.
La programmazione tiene conto di due considerazioni: la possibilità di co-produzioni (e di tournée) ed il gradimento del pubblico. Ad esempio, questa stagione sono in programma 14 recite di “Andrea Chénier” di Giordano e ben 19 di “Aida” di Verdi ma solo sei di “A Death in Venice” di Britten per la prima volta a Barcellona.
Veniamo all’“Andrea Chénier” inaugurale. Il nuovo allestimento, in co-produzione con il New National Theatre di Tokyo, ha inaugurato il 25 settembre la stagione del Liceu di Barcelona (dove resterà in scena sino al 17 ottobre). In primavera una co-produzione internazionale sarà alla Scala ed all’Opéra di Parigi. Dal 3 ottobre all’inizio dell’anno prossimo, un terzo nuovo allestimento si può vedere ed ascoltare nei teatri di Livorno, Rovigo, Catanzaro, Trento e Nizza. E’ opera spesso maltrattata dalla critica (specialmente se di sinistra) Il pubblico è attirato ancora dal “dramma storico” in cui una vicenda piuttosto semplice di amore e gelosia (tra un poeta “riformista”, una giovane aristocratica, ed un ex-cameriere diventato capo giacobino) viene giustapposta ad un contesto storico (dall’inizio della rivoluzione francese ai momenti più oscuri del Terrore giacobino) trattato come un grande affresco.
Il maestro concertatore Pinchas Steinberg è, in primo luogo, un sinfonista i cui esiti più lusinghieri sono stati alla guida della Vienna Radio Symphony Orchestra nel 1989-1996, e della Orchestre de la Suisse Romande nel 2002-2005. Ha avuto successi nel melodramma verdiano, nella direzione musicale di lavori di Wagner e Strauss, ma il “verismo” italiano di fine Ottocento non pare in linea con la sua sensibilità; Steinberg si limita ad accompagnare i cantanti, più che a dare un indirizzo musicale allo spettacolo.
Discussa la regia di Philippe Arlaud . A metà strada tra il realistico ed il surreale in un contesto in cui dominano il bianco ed il nero (in varie gradazione), scontenta sia i tradizionalisti sia gli innovatori.
Di grande livello, però, le voci. Il protagonista Fabio Armiliato sfoggia sicurezza nel registro centrale e sale dolcemente negli acuti, nonché mostra un legato esemplare ed una grande ricchezza timbrica. Si è meritato applausi a scena aperta e vere e proprie ovazioni da stadio al termine della rappresentazione.
Daniela Dessì è l’aristocratica e fragile Maddalena con voce aerea, chiara, purissima, ma duttile nella vasta estensione che richiede la parte sino all’elettrizzante finale. Anche lei più volte interrotta da applausi a scena aperta.
Anthony Micheals-Moore scava nella complessità psicologica di Carlo Gérard: servo, figlio di servi, invaghito di Maddalena, capo di una fazione giacobina, tenta di possederla ma, quando si è accorge che è innamorata di Chénier si adopera per salvare la coppia. Ha voce pastosa e brunita con centri mobili e vibranti e acuti facilissimi. Il successo (che è stato enorme) non può imputarsi soltanto ai tre protagonisti ma anche alle figure di contorno, Vittoria Cortez (oltre ad una Contessa di maniera) è una Maddelon dolente e struggente. Ammirabile la Betsi di Marina Rodriguez Cusi, frizzante, brillante e al tempo stesso affezionata a Maddalena. Sinuoso L’Incredibile di Francisco Vas. Misurato l’Abate di Josep Ruiz. Chiarissimo il timbro del Dumas di Manuel Esteve Madrid.
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