VI FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA ED ARTE SACRA
NOVA METAMORF OSI
MUSICA SACRA A MILANO NEL PRIMO SEICENTO
MUSICA DI MONTERVERDI, RUFFO E ANONIMI
Giuseppe Pennisi
Chi ha avuto la ventura ed il piacere di assistere ad una rappresentazione di Palestrina di Hans Pfitzner – in repertorio a Vienna ed a Berlino, oltre che in altri teatri tedeschi, ma una co-produzione con il Covent Garden e l’Opera di Roma, la prima in lustri in Italia annunciata per il Giubileo del 2000 venne all’improvviso cancellata – è a conoscenza del dibattito sulla musica, e sulla musica sacra in generale che avvenne al Concilio di Trento. Nel mondo cattolico, la musica (specialmente nelle sue forme più prossime alla “musa bizzarra ed altera”) era diventata sempre più ricca e sontuosa nei decenni che precedettero la Riforma protestante; ciò aveva, quindi, influenzato pure la musica spirituale, e quella per le funzioni liturgiche (in primo luogo, la Messa).
In seno alla Riforma c’erano correnti differenti sul ruolo della musica nella nuova Chiesa protestante. Lutero, melomane e compositore dilettante, affermava che “la musica era un dono di Dio non degli uomini” ed insisteva che tutte le Chiese dovessero avere “Kantorei” (scuole di coro). La “sinistra protestante” (da Cromwell agli Ugonotti) la considerava una frivolezza così vicina al peccato da indurli a bruciare la Cattedrale di Orléans e gli organi di quella di Zurigo. Calvino, infine, non solo riconosceva il valore della musica di Chiesa ma la considerava strettamente legata alla preghiera. Da questo dibattito emerse quella che possiamo chiamare la “musica della Riforma” ( ben illustrata in un saggio di Anthony Milner) nelle sue principali scuole: la musica luterana, i salmi ginevrini e salmi polifonici metrici in gran misura adottati dai protestanti del mondo di lingua francese (ben sintetizzati nella storia della musica di Lucien Rebadet). Il tratto comune alle tre scuole era il rifiuto di quella musica sgargiante e ricca di abbellimenti che già nel Rinascimento italiano poneva le basi per il Barocco.
Il Concilio di Trento non poteva non rispondere a questa sfida e integrare la risposta del Cattolicesimo alla Riforma sul piano dottrinale (ed etico) con una risposta a livello musicale. Il dibattito – tema centrale di Palestrina di Hans Pfitzner – portò a raccomandazioni sulla liturgia “più negative che positive” (cito da Milner). In sintesi, nelle Messe celebrate con accompagnamento musicale e con organo, gli elementi profani non si sarebbero dovuti mischiare con quelle religiosi. Il canto non avrebbe dovuto dare “un piacere vuoto all’orecchio” ma avrebbe dovuto far ascoltare, e comprendere, ogni parola del rito alla congregazione. Due Cardinali proposero che “il rumore scandaloso della polifonia” venisse vietato. Venne nominata una Commissione di Studio che esaminò vari tentativi sperimentali di compositori (tra cui Palestrina e Orlando di Lasso. In tal modo, senza non poche pressioni ed intrighi tra le varie fazioni, Palestrina riuscì a salvare il contrappunto con la Missa Papae Pacelli.
Questo contesto, illustrato soltanto in parte nel parte nel programma di sala, è essenziale per comprendere il clima in cui nacque e si sviluppò la musica ambrosiana della seconda metà del Cinquecento e dell’inizio del Seicento con uno stile suo proprio imposto in parte dal Cardinal Carlo Borromeo (Arcivescovo della città) che, dopo una viaggio a Roma, richiese di applicare con rigore i precetti musicali del Concilio (nel resto d’Italia, in particolare a Napoli, venivano attuati in modo piuttosto lasco). La musica ambrosiana, quindi, divenne essenzialmente monofonica, imperniata sul recupero del falsobordone in cui il cantus firmus veniva accompagnato con voci parallele ad intervalli consonanti.
Per dare il clima dell’epoca, il concerto è semi-scenico nel senso che la Basilica è tenuta al buio ed orchestrali e cantanti sono illuminati da ceri, la cui fiamma rende ancora più ricchi i mosaici di Santa Maria Maggiore. Il concerto contiene Salmi (di anonimo) con musica da Messa (nell’ordine, dal Kyrie all’Agnus Dei, come verrebbero presentati in una celebrazione liturgica). I principali autori sono Monteverdi e Vincenzo Ruffo. In effetti, le parti attribuite a Ruffo sono di incerta paternità e – come sappiamo – Monteverdi rappresentava una “bottega” di compositori. La “metamorfosi” della musica è “nova” sotto due punti di vista: da un lato, incorpora (rigorosamente nelle parti vocali) le regole trentine; da un altro, mantiene ed anzi sviluppa la ricchezza strumentale.
Il complesso Le Poème Harmonique guidato da Vincent Dumestre è uno dei pochi al molto specializzati in questo tipo di repertorio. I tenori sono piuttosto “alti”- uno quasi un controtenore.Il basso è profondo. Soprano, mezzo e contralto come da tradizione dell’epoca. Di gran livello gli orchestrali , che lavorano naturalmente su strumenti al più possibile simili a quelli dell’epoca.
L’impressione che ha suscitato l’esecuzione è stata molto forte (forti e sentiti gli applausi) soprattutto per la novità per gran parte del pubblico: una fusione tra il rigore vocale dei cantori e dei solisti della Chiesa riformata e il ricco florilegio (di chiara matrice profana) della scrittura orchestrale. Nova Metamorfosi è stato registrato nel 2004 dalla Alpha 039 ma credo sia acquistabile in Italia soltanto dietro ordinazione.
Infine, una richiesta: che si faccia più spesso musica “ambrosiana” a Milano.
LA LOCANDINA
NOVA METAMORFOSI
MUSICA SACRA A MILANO NEL PRIMO SEICENTO
MUSICA DI MONTERVERDI, RUFFO E ANONIMI
Direzione Musicale e Tiorba: Vincent Dumestre
Ensemble di musica antica Le Poème Harmonique
Viola soprano: Kaori Uemura; Basso di viola: Sylvia Abramowicz, Lucas Guimaraes; Violone: Martin Bauer; Cornetto: Eva Godard; Dulciana: Mèlanie Flahaut; Ceterone: Jean Luc Tamby; Organo Positivo: Fréderic Michel.
Soprano: Cathérine Paduat
Mezzosoprano: Isabelle Druet
Contralto: Bruno Lelevreur
Tenori: Serge Goubiuod, Branislav Rakic, Hughes Primari.
Baritono: Emmanuel Vistorsky.
Basso: Philippe Roche
Roma , Basilica di Santa Maria Maggiore 12 ottobre
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