Oggi 4 ottobre, il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea (Bce) si riunisce a Vienna, mentre a Londra si svolge la sessione mensile dell’organo di governo della Bank of England (Boe). E’ raro che i due organismi tengano, in parallelo, le loro riunioni tanto più che in un passato recente la Bce e la Old Lady (il nome di gergo della Boe) hanno assunto decisioni marcatamente differenti. Non solo perché gli andamenti del Regno Unito e dell’area dell’euro seguivano passi diversi ma perché gli obiettivi statutari dei due istituti divergono in maniera sostanziale. La Bce ha un’unica finalità: mantenere l’inflazione al di sotto del 2% l’anno. Più variegati, gli obiettivi della Boe; un occhio (quello principale) al controllo dell’inflazione, ma l’altro non ignora la crescita.
Questa volta le decisioni delle due banche non riguardano prevalentemente l’Europa (con effetti collaterali sul resto del mondo). Da Vienna e da Londra partiranno segnali per la prossima sessione del Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto della Federal Reserve (28 e 29 ottobre). Beth A. Simmons della Università di Harvard, nello studio The Future of Central Bank Cooperation pubblicato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, prevede una collaborazione sempre più stretta soprattutto dopo le ultime tensioni sui mercati. Sia la Bce sia la Bank of England devono decidere se alzare leggermente i tassi, se abbassarli (pure in questa ipotesi leggermente) o se lasciarli al livello dove stanno.
Tanto a Vienna quanto a Londra il convitato di pietra è Ben Bernanke, Presidente del Federal Reserve Board. Da un paio di settimane, emissari della Fed visitano Londra e, ancora di più, Francoforte. Gli americani starebbero spingendo la Bce a riprendere, dopo la pausa del mese scorso, una strategia di rialzi graduali del tasso di riferimento per tre ragioni. In primo luogo, il divario dei tassi di riferimento ufficiali è ancora significativo anche se sul mercato internazionale i tassi a tre mesi ed a dieci anni (quindi sia a breve sia a lungo termine) dei bonds americani ed europei sono molto prossimi. In secondo luogo, secondo alcuni economisti americani (ma l’opinione non è affatto unanime) , un aumento dei tassi in Europa contribuirebbe a riequilibrare il cambio dollaro Usa-euro. In terzo luogo, si starebbe avanzando una nuova ondata di inflazione da smorzare, insieme, sul nascere. E’ inflazione da domanda sulla scia del successo di Paesi asiatici come Cina ed India. In un saggio a circolazione limitata, il Premio Nobel Robert Fogel avverte che se le tendenze degli ultimi 20 anni continueranno nel 2040 il pil della Cina sarà pari a tre volte la produzione mondiale di beni e servizi del 2000. Un mutamento strutturale che non può non scombussolare l’economia mondiale. All’ultima conta, in dollari Usa, l’indice aggregato delle materie prime dell’Economist è cresciuto, in 12 mesi, del 26%; quello dei prodotti alimentari del 45%; computato in euro, l’indice aggregato è cresciuto del 13% , quello degli alimentari dell’8%. Negli ultimi cinque anni, in dollari Usa, i prezzi del petrolio sono aumentati del 158%, quelli del frumento del 126%, quelli del nickel addirittura del 415%. Questa vampata, però, si sta verificando mentre ci sono segni sempre più marcati di rallentamento (ove non ristagno) dell’economia reale- che verrebbe aggravato da un aumento dei tassi.
E l’Italia? Si annunciano notizie non buone per la finanziaria. Un incremento dei tassi metterebbe a serio rischio conti già traballanti. Specialmente se accompagnato da una frenata dell’economia reale.
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