Venti anni dopo la crisi dell’azionario del 1987 giova ricordare l’analisi svolta da Richard Bernstein di Merrill Lynch, il quale aveva sottolineato che la strategia vincente dopo il crollo del 17 ottobre era stata quella “ultracontrarian” che si focalizza su obbligazioni di alta qualità, settori difensivi (e poco volatili), azioni di imprese ad alta capitalizzazione ed alti dividendi. Una strategia che potrebbe tornare di attualità.
Dopo la breve battuta d’arresto immediatamente dopo l’assemblea annuale del Fondo Monetario e della Banca Mondiale gli indici di Borsa hanno ripreso a crescere sub tutte le principali piazze. La stampa francese sottolinea che l’ascesa delle quotazioni (a Parigi, Francoforte e Londra) rispecchia una certa incredulità degli operatori rispetto alle meste previsioni della Commissione Europea e dell’Ocse: l’economia reale avrebbe prospettive a breve e medio termini migliori di quanto affermano i loro modelli econometrici. Analogamente, un tema ricorrente nei titoli nelle newsletter americane è che “l’ottimismo supera la paura” (che il rallentamento degli ultimi mesi scivoli in una recessione all’inizio del 2008). In Asia l’atmosfera è addirittura euforica. Ciò comporta dilemmi per il Comitato per le Operazione sul Mercato Aperto della Federal Reserve che si riunisce il 30-31 ottobre e deve decidere, dopo il ribasso di 50 punti di base (portandolo a 4,75%) del tasso di riferimento – negli Usa è l’interbancario- deciso il 18 settembre, mantenerlo invariato o se ritoccarlo ulteriormente. In quale direzione.
Una lettura attenta del verbale del Comitato, diramato il 9 ottobre, mostra che la decisione (di ridurre il tasso di riferimento) , anche se alla fine unanime, è stata raggiunta dopo una vivace discussione. In altri termini, non tutti i componenti dell’organo di governo Usa erano convinti dalle analisi del servizio studi della Fed (secondo cui gli Usa starebbe rasentando la recessione). La Borsa-rappresenterebbe la più eloquente smentita degli umori non certo ottimisti degli econometrici della Fed, a ragione dei record toccati non solo da indici dei mercati nazionali ma anche da quelli globali come il Msci e soprattutto il Msci dedicato ai mercati emergenti. Inoltre la diffusione di quello che in gergo viene chiamato il “reflation trade” (acquisto di titoli di mercati emergenti, di azioni cicliche, di derivati con forti componenti di materie prime) indicherebbe che gli operatori si aspettano un’economia internazionale (ed americana) con il vento in poppa.
Avrebbe verosimilmente una delusione se gli econometrici della Fed avessero ragione ed il rallentamento dell’economia Usa si accentuasse nei prossimi mesi. Chi vincerebbe in questo scenario? La stessa Merrill Lynch parla delle delle plusvalenze che si possono portano a casa quando si è pessimisti. In ogni caso, uno scenario in cui mantenersi sulla bassa volatilità potrebbe essere premiante
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